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La visita del presidente russo Vladimir Putin in Italia ha riportato al centro dell'attenzione la questione delle sanzioni alla Russia. Durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi, il presidente del consiglio Giuseppe Conte si è detto favorevole alla rimozione delle sanzioni, a patto che si creino le condizioni favorevoli per un tale sviluppo.
Già durante il suo discorso d'insediamento al Senato, Conte si disse favorevole a una revisione del regime sanzionatorio, con lo scopo ultimo di normalizzare le relazioni tra Unione Europea e Russia.
L'opposizione alle sanzioni è sempre stata molto forte nel nostro paese. Il leader della Lega Matteo Salvini, prima di diventare ministro degli interni, manifestò esplicitamente in numerose occasioni la sua contrarietà alle sanzioni. Ma sono soprattutto gli imprenditori del settore agro-alimentare ad essere molto critici.
Le sanzioni dell'Unione Europea e degli Stati Uniti hanno scatenato, come ritorsione, le controsanzioni del governo russo, ovvero l'embargo dei prodotti agro-alimentari europei, ed è proprio questo embargo che danneggia le esportazioni italiane.
Chi auspica la rimozione delle sanzioni lo fa sulla base di un ragionamento economicistico: esse vanno tolte perché danneggiano l'economia italiana e non ci permettono di esportare i nostri prodotti in Russia, facendoci perdere un sacco di soldi.
Questa osservazione è legittima e corretta, nel senso che le sanzioni – quindi le conseguenti controsanzioni – hanno chiuso le porte del mercato russo ai ricercati prodotti agro-alimentari italiani.
Tuttavia, tale interpretazione economicistica è estremamente riduttiva e pericolosamente fuorviante. Essa infatti distoglie l'attenzione dall'evento che ha generato le sanzioni: l'invasione russa della Crimea nel febbraio 2014 e la successiva annessione. La Russia ha violato militarmente i confini dell'Ucraina – quindi la sua sovranità – e ha annesso la Crimea.
Non bisogna mai dimenticare che la Russia è stata sanzionata per questa aggressione militare che ha prodotto de facto una modificazione dei confini dell'Ucraina attraverso l'uso della forza.
Le motivazioni strategiche alla base di tale aggressione e i tentativi russi di legittimare l'annessione sono irrilevanti. Il punto è che – per la prima volta dal 1945 – i confini di uno Stato europeo sono stati modificati con la forza. Ciò ha annullato la sovranità dell'Ucraina e messo in discussione la lunga pace europea che dura da tre quarti di secolo, quindi la sicurezza e la stabilità del continente.
Rimanere inermi di fronte all'invasione della Crimea avrebbe significato legittimare la modificazione dei confini di uno Stato europeo con la forza. Sdoganare azioni aggressive di questo tipo potrebbe avere conseguenze imprevedibili potenzialmente in grado di porre fine alla lunga pace.
Rimuovere le sanzioni solo perché queste hanno danneggiato le esportazioni italiane – ignorando il fatto che la Russia ha invaso l'Ucraina - significa darla vinta alla Russia, cioè legittimare la sua aggressione militare e riconoscere l'annessione della Crimea.
In ogni caso, ammettiamolo, l'Italia in questa vicenda ha un potere negoziale irrisorio. Non siamo tra i firmatari del Protocollo di Minsk II, dalla cui implementazione dipende il rinnovamento o meno delle sanzioni alla Russia.
È chiaro quindi che la questione delle sanzioni non ha a che fare solo ed unicamente con gli scambi commerciali tra Italia e Russia. Vale la pena ripeterlo, questo punto di vista è estremamente riduttivo ed ignora totalmente la vera posta in gioco, cioè la sicurezza e la stabilità dell'Europa e la legittimazione dell'uso della forza nelle relazioni tra Stati europei.
Massimiliano Palladini
Redazione Pressa
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