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Carcere, 294 giorni, 67 suicidi. Breve storia triste di un suicidio e mezzo a settimana

Carcere, 294 giorni, 67 suicidi. Breve storia triste di un suicidio e mezzo a settimana

Questo carcere è pensato solamente per infliggere sofferenze nella perenne, inutile, sospensione della quotidianità


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Questo carcere va ripensato. È sovraffollato. Certo.
Ma è, anche e prima ancora, immobile. Questo carcere, oggettivamente, è un’istituzione sempre uguale a se stessa.
Improntata a non-vita. Tutto ciò non può non produrre disperazione. È la disperazione, in ultima analisi, a condurre le persone che quotidianamente vi si trovano recluse a perdere la speranza. E, senza speranza, come noto, non possono esservi nè vita nè vite.
Il problema, a conti fatti, non è il carcere. Perchè il carcere è sempre esistito e, oggettivamente, deve esistere.
Ma è questo carcere. Perchè questo carcere è pensato solamente per infliggere sofferenze nella perenne, inutile, sospensione della quotidianità.
Ciò detto: quando si ragiona di carcere, il sovraffollamento rappresenta sicuramente un problema con la P maiuscola.
Per affrontare il quale la politica spesso propone la costruzione di nuove carceri. Come si diceva, il carcere è sempre esistito e, oggettivamente, deve esistere.
Da questo punto di vista, se le carceri sono sovraffollate, come certamente sono, sarebbe effettivamente corretto anche costruire nuove carceri.
Ciò non toglie, però, che il sovraffollamento rappresenti un problema che si dovrebbe affrontare anche dal punto di vista giuridico. Vale a dire potenziando i percorsi propri delle misure alternative alla detenzione.
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Che, peraltro, rappresentano gli unici percorsi riabilitativi davvero in grado di sterilizzare gli arcinoti fenomeni di recidiva connessi all’esecuzione intramuraria della pena. Anche da questo punto di vista, sinceramente, bisognerebbe riflettere seriamente sull’effettiva opportunità di potenziare consimili percorsi.
Ciò anche nell’ottica, importante, di assicurare alla cittadinanza quella sicurezza sociale che giustamente la cittadinanza pretende e che questo carcere, non essendo capace di rieducare, non è in grado di assicurare. Diciamolo chiaramente: qualunque pena, per quanto severa possa essere, ha una fine, sopraggiunta la quale, benché non rieducato, il condannato dovrà comunque essere liberato, con tutte le conseguenze del caso.
Ciò, soprattutto nell’ottica di un governo di destra, per sua natura così giustamente attento alla sicurezza della collettività, dovrebbe rappresentare una precisa consapevolezza.
Una precisa consapevolezza negativa, sulla quale innestare altrettanto precise linee di azioni per il futuro atte a ripensare alla radice un’istituzione, il carcere, che, così impostata, si appalesa tanto inutile quanto costosa.
Giudo Sola
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Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Dottore di ricerca in Scienze penalistiche presso l’Università degli Studi di Trieste. Già assegnista di ri...   

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