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È uscito in questi giorni il nuovo libro di Francesco Benozzo, Homo poeta. Le origini della nostra specie (Lucca, Edizioni la Vela). Si tratta di un piccolo libro visionario in cui confluiscono oltre vent’anni di ricerche filologiche e di dissidente militanza poetica dell’autore, che mette qui in relazione per la prima volta la propria rivoluzionaria teoria sulla nascita e l’evoluzione del linguaggio umano (secondo la sua teoria comparso già 3 milioni di anni fa con l’Australopiteco) con la propria convinzione che la poesia ha salvato e continuerà a salvare le nostre vite.
La sterzata evolutiva della nostra specie, la sua vera e propria nascita, è da attribuire a quello che Benozzo definisce Homo poeta, scardinando volontariamente l’abituale terminologia e cronologia paletnologica.
Nella convinzione che Homo poeta preceda addirittura Homo loquens, cioè la comparsa del linguaggio stesso, e che ciascuno di noi sia poeta prima ancora di saper parlare, questo testo diventa anche un invito a una percezione nomade di noi stessi, per riscoprire lo stupefacente potere che ciascun individuo – in quanto creatura irripetibile, unica, libera e parlante – ha dentro di sé per produrre immaginario e creare continuamente nuovi mondi.
Un libro che ragiona sulle origini e sul destino della nostra specie e che si pone come un elogio di ogni anomalia e dissidenza rispetto alle leggi evolutive.
Il vero tema del libro è infatti proprio quello della dissidenza, intesa come qualità costitutiva di ogni individuo e come caratteristica che ha consentito alla nostra specie di evolversi. Un tema, questo, caro a Benozzo, che ne ha fatto quasi la parola d’ordine del proprio modo di vivere, sia come filologo che come poeta, e che lo ha portato a pagare più di una volta in prima persona, come conseguenza delle sue scelte non allineate (di recente, come noto, è stato anche uno dei due soli docenti universitari italiani sospesi per non avere accettato le norme sul Green Pass). La dedica del libro parla chiaro: nelle prime pagine, infatti, Benozzo dedica questo lavoro “alle ribelli e ai ribelli che hanno lottato e stanno lottando in questi anni di non senso, ciascuno nei suoi modi preziosi e unici”.
Redazione Pressa
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