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Il Nuovo Testamento nella stampa da Erasmo ai giorni nostri

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Perch? Dio (che è amore e bene) accetta il male, il dolore, la tragedia infinita? Forse la risposta è nel Salmo della Apocalisse: Io sono sono l'alfa e l'omega, colui che ?, che era e che viene, l'Onnipotente


Il Nuovo Testamento nella stampa da Erasmo ai giorni nostri
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Ho avuto modo di assistere all’interessante conferenza tenuta dal prof.Martin Wallraff presso la Scuola Internazionale di Alti Studi del Collegio San Carlo di Modena poco tempo fa’. Si trattava di illustrare lo sforzo di interpretare -o piuttosto di capire fino in fondo il più possibile- il senso della Rivelazione del Nuovo Testamento, dagli “inizi” fino ad oggi; in altre parole partendo da Erasmo da Rotterdam nel 1516, cioè da colui che si è preso la briga di correggere la montagna di errori introdotti dai vari copisti bizantini attraverso i secoli precedenti fino a arrivare alle edizioni di Stephanus, Bentel, Wettstein, ecc, fino a Nestle e ad Aland nel 1979.

Questo lavoro immane è tanto più massacrante e degno di rispetto se teniamo conto che si è trattato di “lavorare” su di un testo originale scritto in greco antico, accompagnato da una traduzione speculare scritta in un latino arcaico estremamente difficile.

Il “soucis” degli autori e anche degli stessi stampatori è sempre stato quello di discostarsi il meno possibile da quella che ai loro occhi appariva l’unica possibile ed univoca corretta traduzione del testo sacro. Ciò, al punto che alcuni traduttori successivi ad Erasmo si permisero appena di indicare una possibile diversa interpretazione migliorativa, senza osare apportarla materialmente; la stessa mania perfezionista appare anche da parte di alcuni stampatori, che arrivano al punto di coniare nuovi caratteri di stampa pur di aggiungere doti di bellezza e lustro all’opera sacra.

Non ci perderemo qui nella (lunga) disamina dei percorsi accidentati in cui si sono avventurati i coraggiosi e meritevoli studiosi che hanno cercato di consegnarci un testo sacro il più possibile fedele alla Rivelazione di Cristo, ma è interessante soffermarci sull’osservazione suscitata da una domanda da parte di uno dei pochi auditori presenti all’Alta (e difficile) Lezione:


Qualcuno si è chiesto, di fronte allo scrupolo dimostrato -in apparenza persino eccessivo- pur di arrivare alla Fedeltà del Messaggio di Cristo, qual’era parallelamente la “visione” islamica da parte della “chiesa” musulmana.

La risposta, in apparenza semplificatoria, è stata questa: il Corano è LA parola didascalica del Profeta Muhammad, e come tale non ammette interpretazioni. La Parola del Profeta si accetta e non si discute (e questo aprirebbe la porta ad altri interessantissimi approfondimenti di tipo sia religioso che socio-culturali). Il Nuovo Testamento invece, come tra l’altro anche il Vecchio Testamento biblico, sono il frutto di lasciti orali e di innumerevoli trascrizioni (quasi 500 mila!). 

La considerazione finale emergente non può che appellarsi al senso profondo della Fede cristiana, che -in ogni circostanza della vita del credente- lo pone davanti all’inevitabile Libertà di scelta e non all’imposizione da parte di un Dio (o di un suo profeta) seppure a fin di bene.

Alla fine, se vogliamo, è una qualche traccia di risposta all’eterna domanda che si pone anche il Credente: perché Dio (che è amore e bene) “accetta” il male, il dolore, la tragedia infinita?

Forse la risposta è nel Salmo 102, 27 di Apocalisse 1, 8 che dice “Io sono sono l’alfa e l’omega, colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. E allora trascriviamo il pensiero illuminato a questo proposito di Alga Barbacini:

“Tutto è in Dio, ed è così dagli inizi dei tempi e sempre sarà. L’inizio e la fine, la vita e la morte… Ciò che a noi sembra opposto, impossibile da miscelare insieme, in Dio convive senza contraddizione. Ecco cosa ci risulta difficile da comprendere e accettare, un tema astratto, faticoso da sostenere e spiegare. Noi non abbiamo esperienza di questo tipo. Il Dio raccontato nell’Antico Testamento è molto simile a noi esseri umani, prova sentimenti che noi ben conosciamo: è geloso, si arrabbia, interviene nella storia umana. Il Dio che conosciamo nella nostra esperienza quotidiana sembra invece immobile e lontano. Proviamo rabbia e non riusciamo a comprendere come Dio possa sopportare la morte e la vita contemporaneamente. Ci chiediamo perché non interviene quando la sofferenza e l’ingiustizia prevalgono sul bene. Dio che sei onnipotente, come puoi far accadere tanto dolore ogni giorno? Questa è la nostra domanda. Ma il dolore e la gioia convivono insieme nello stesso istante. Forse sono abbracciati e attendono con trepidazione il giorno in cui anche noi miseri esseri umani, sapremo cogliere quell’attimo che vede gli opposti unirsi e diventare un’unica realtà preziosa che è l’essenza di ogni cosa. Quando siamo sfiduciati e afflitti pensiamo alla gioia che sarà capace di abitare ancora nel nostro cuore, pensiamo all’amore che ancora possiamo ricevere e donare. Il nostro dolore sarà meno pesante e un sorriso pieno di speranza potrà apparire tra le nostre lacrime.”

Vittorio Cajò 
 
 

Redazione Pressa
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