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Lee. G. Barrow, musicologo fra i più attenti all’Autore della Trilogia Romana, così scrisse: «Ottorino Respighi è senza dubbio l’Autore italiano più noto ed eseguito da Puccini in poi, oltre che il compositore italiano non strettamente operistico più eminente dopo Antonio Vivaldi». Il Nostro può quindi essere considerato l’erede spirituale di questi sommi musicisti. Tuttavia, nella terra che gli diede i natali, le sue musiche non sono presenti nelle sale da concerto come dovrebbero, cassate da quella furia iconoclasta che ha cancellato ogni cosa fosse riconducibile al periodo fascista.
Respighi è il terzo e ultimo figlio di Giuseppe, a sua volta figlio di Tommaso, organista del duomo di Borgo San Donnino e violinista. La sua è una famiglia d’artisti: infatti, anche la madre Ersilia Putti discende da una genelogia di scultori molto apprezzati.
Il Maestro, quindi, inizia i suoi studi musicali seguito dal padre, che lo introduce al fascino del pianoforte e del violino. Ottorino Respighi dimostra subito un grande talento e così la famiglia decide d’iscriverlo al Conservatorio di Bologna, dove frequenta la classe di Composizione tenuta da Giuseppe Martucci.
In contemporanea, entra a far parte dell’organico orchestrale del Teatro Comunale di Bologna in qualità di viola e con questo strumento parte per la Russia quale Prima viola del Teatro Imperiale di San Pietroburgo, che ha allestito una stagione d’opera dedicata alla lirica italiana. La ragione di questa trasferta è compositiva: Respighi vuole studiare con Nicolaj Rimskij-Korsakov, il maestro del colore orchestrale. Riesce nel suo intento e per cinque mesi approfondisce con lui l’arte della sinfonia e del poema sinfonico.
Oltre alla viola, è anche un eccellente pianista e nel 1908 è chiamato a Berlino dal celebre soprano ungherese Etelka Gerster, che lo vuole quale accompagnatore della sua scuola di canto. Qui incontra Ferruccio Busoni e, soprattutto, Max Bruch con il quale raffina la preparazione musicale. La sua vita, e fino al 1908, è dedicata principalmente all’attività d’esecutore: entra come viola nel Quintetto Mugellini, insieme ai violinisti Mario Corti e Romualdo Fantuzzi, al violoncellista Antonio Certani e al pianista Bruno Mugellini. Ma la composizione lo attrae sempre più e nel 1913 si trasferisce a Roma; ha già scritto 13 opere sinfoniche di rilievo, 7 composizioni cameristiche e 2 opere. A Roma avviene la sua consacrazione: è docente di Composizione all’Accademia di Santa Cecilia, della quale diventa direttore dal 1923 al 1926, ed è eletto Accademico d’Italia.
Il primo poema sinfonico, di quella che si definì la Trilogia Romana, è Fontane di Roma del 1916. Il successo è immediato: anche l’Italia, considerata musicalmente all’apice solo nell’opera lirica, ha il suo sinfonista eccelso, che nulla ha da invidiare verso altri compositori specialmente tedeschi e francesi. L’anno seguente, replica con la prima suite Antiche Arie e Danze per Liuto, nella quale esibisce tutto il talento di maestro del colore nell’orchestrazione di antichi componimenti.
Ha successo anche sul piano sentimentale: nel 1919 sposa Elsa Olivieri Sangiacomo, compositrice, cantante e pianista che era stata sua allieva al Conservatorio, e che completò l’ultima opera lirica, Lucrezia, lasciata incompiuta dal Maestro. La differenza tra loro è di quindici anni e solo 17 sono stati quelli di matrimonio, ma l’amore tra loro è infinito e durerà fino alla fine di Elsa, che si spegne a Roma nel 1996.
Colleghi musicisti invidiosi, e oggi alcuni musicologi ideologizzati, giustificano questa rapida ascesa di Respighi con la vicinanza della sua musica, grandiosa e volta ad onorare l’Italia e il suo passato, agli ideali fascisti. Così scrive Alberto Cantù nel volume a lui dedicato: «Fra i compositori italiani del Novecento storico, Ottorino Respighi (1879-1936) è sicuramente quello che ha avuto e ha meno bisogno di spinte esterne, festival promozionali, convegni e occasioni monografiche per trovare quella diffusione, la fortuna e la fama internazionale che all’autore dei tre poemi sinfonici romani arrise praticamente da subito, sulla scorta di bacchette quali Toscanini, De Sabata e Karajan, ieri l’altro o ieri; Maazel, Muti o Sinopoli, oggi.»
Cronologicamente, tra le sue composizioni sinfoniche spicca il Concerto Gregoriano per violino e orchestra del 1921, la seconda suite delle Antiche Arie e Danze per Liuto del 1923, i Pini di Roma del 1924, Vetrate di chiesa del 1926, il Trittico botticelliano del 1927, la suite per piccola orchestra Gli uccelli del 1928, il poema Feste romane dello stesso anno e la terza suite di Antiche Arie e Danze per Liuto del 1931. Questo solo per la musica sinfonica!
Ottorino Respighi fu anche musicologo, particolarmente interessato alla musica italiana del periodo compreso tra il XVI e il XVIII secolo; infatti, pubblicò e revisionò musiche di Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi e Benedetto Marcello, autori che prima della riscoperta da parte del gruppo di compositori definiti da Massimo Mila La generazione dell’80 erano caduti nell’oblio. La ricerca del Maestro si rivolse in modo particolare al canto gregoriano e questo interesse lasciò una traccia indelebile nei suoi lavori, tanto che molte composizioni hanno un’impostazione decisamente modale come il Concerto in modo misolidio, il Quartetto dorico, Metamorphoseon XII Modi, solo per ricordare qualche esempio.
Ho citato le sue trascrizioni per Antiche Arie e Danze per Liuto, con brani risalenti al XVI e XVII secolo, e Gli uccelli, elaborazione di brani scritti da Bernardo Pasquini, Jacques Gallot, Jean Philippe Rameau e altri. Ma sono anche degni di nota le trascrizioni orchestrali della Passacaglia per organo di Bach, degli Études-Tableaux di Rachmaninov, e dei brani pianistici di Rossini per il balletto La boutique fantasque, che sono tra i migliori esempi del genere.
Oltre ai brani sinfonici, nei quali si possono riconoscere le influenze di Rimskij-Korsakov, Debussy, Richard Strauss e Stravinskij, compose anche otto opere per il teatro tra le quali si ricorda Belfagor, La campana sommersa, Maria Egiziaca e La fiamma.
Nonostante sia vissuto nel periodo in cui la maggior parte degli italiani sollevavano convintamente il braccio destro nel saluto romano, Respighi non volle mai iscriversi al Partito Nazionale Fascista, anche se il medesimo fu prodigo di onori e onorificenze nei suoi confronti. Ciò deve farci riflettere sul significato dell’arte, che è espressione di libertà, d’indipendenza intellettuale la quale non può essere imbrigliata da una ideologia anche se questa, in larga parte, corrisponde al nostro sentire.
Altra considerazione è che l’Italia, nel periodo che intercorre dal 1922 alla Seconda Guerra Mondiale, seppe offrire al mondo luminosi artisti, che non devono essere cancellati per ragioni politiche e noi, oggi, lontani da quel tempo e saldi nella democrazia conquistata, abbiamo il dovere di assegnare ad ognuno il proprio posto nella storia dell’arte, secondo quanto hanno saputo creare con le loro opere e non su preconcetti ideologici.
Respighi morì il 18 aprile del 1936 per una endocardite. Aveva solo cinquantasei anni ed era all’apice della gloria. Si spense nella sua villa romana I pini, acquistata dai Principi Colonna e ristrutturata con i consigli dell’architetto Marcello Piacentini. Volle essere sepolto nella sua Bologna e infatti la tomba si trova al campo Carducci del Cimitero Monumentale della Certosa. Il 19 giugno dello stesso anno, dopo la morte del Maestro, il tratto di via de’ Castagnoli a fianco del Teatro Comunale, dove visse il tempo della gioventù con la famiglia, s’intitola Largo Respighi.
Massimo Carpegna