Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
Giovanni Fantozzi è un autore coraggioso, amante della verità, e che non ha paura di confrontarsi con miti istituzionalizzati che poi si rivelano più costruiti che non reali.
Ne “Il Patto” la sua ultima fatica letteraria, edita da Adelmo Iaccheri editore in Pavullo, affronta un fatto storico conosciuto, ma che la storiografia ufficiale non ha mai riportato: quello tra i pavullesi Mario Ricci detto Armando, storico capo partigiano e poi sindaco del paese; e Giordano Bruno Rivaroli, capo della Brigata Nera; per salvaguardare il più possibile il loro paese e i loro concittadini da tutto quello che poteva accadere in quel periodo tra il 1943 e il 1945 che vide alternarsi gli scenari della guerra civile, la guerra di occupazione tedesca e la guerra di liberazione.
Ai pavullesi, nel pomeriggio di domenica 16 agosto, è stata offerta l’opportunità, nella cornice del Palazzo Ducale, di poter toccare con mano la ricerca di Fantozzi, in una presentazione che ha visto un pubblico “delle grandi occasioni” e che non si è lasciato intimorire dall’accenno di un’acquazzone che avrebbe potuto guastare l’evento. Evento presentato dall’amministrazione comunale di Pavullo e che ha visto presenti il vice sindaco Iseppi e l’assessore Muzzarelli, oltre alla partecipazione del ex Senatore Carlo Giovanardi e del Senatore Stefano Corti.
Il tutto coordinato dall
’editore Adelmo Iaccheri e da Gianni Braglia dell’associazione Terre e Identità.
Fantozzi, nel presentare il suo volume, ha sottolineato come “a distanza di quasi ottant’anni la pressione sui fatti della guerra civile, anziché diminuire aumenta e questo complica le cose, soprattutto a livello di ricostruzione. La storia è più usata come pretesto di legittimazione politica, laddove occorrerebbe basarsi sui fatti e io, per questo libro, come per tutti gli altri che ho scritto, mi sono sempre lasciato convincere dai documenti.”
Documenti che però, soprattutto per la ricostruzione di questo patto di non belligeranza tra capi partigiani e fascisti pavullesi, sono stati di difficile reperibilità. Come anche riporta l’introduzione del libro, l’archivio del CLN di Pavullo è sparito e quello comunale è molto lacunoso sia durante il periodo bellico che quello post bellico. Non fosse stato per il ritrovamento nel fondo della corte d’assise straordinaria di Modena del fascicolo di Rivaroli, il più voluminoso tra quelli dei repubblichini montanari accusati di collaborazionismo, più altre fonti scoperte negli anni dall’autore, il patto di pavullo sarebbe rimasto un fatto storico confinato al detto e non detto di quegli anni.
L’opera di Giovanni Fantozzi, oltre a rendere merito a tante figure che hanno caratterizzato quegli anni drammatici (su tutte Vincenzo Ghibellini che fu il promotore del patto), fa luce sugli scenari del territorio montano, riportandone sfaccettature che possono aiutare a capire non solo il nostro passato, ma anche il presente. Basti pensare a quanto possano apparire distanti eventi come la battaglia di Benedello o la strage di Monchio, pur se avvenuti relativamente a pochi chilometri di distanza ma con caratteristiche totalmente diverse che a volte, gli stessi abitanti del luogo nemmeno conoscono.
Un’operazione di verità, mediante la quale si può portare avanti un tentativo di conciliazione che, a distanza di quasi ottant’anni appare ancora irraggiungibile a livello formale, ma che in realtà sotto gli scontri delle fazioni più ideologizzate, vive di patti che mantengono in vita le comunità (e quindi anche tutta la nostra disgraziata Repubblica), che mirano realmente alla salvaguardia del bene comune e non hanno bisogno di chissà quali riflettori o di verità ufficiali, per garantirsi il quieto vivere.