Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
Dopo aver solennemente proclamato per due anni che l’Occidente collettivo e l’Ucraina avrebbero fatto di un sol boccone Putin sbaragliandolo militarmente ed economicamente, in queste ultime settimane un nuovo mantra, di tono completamente diverso, si sta diffondendo dai palazzi del potere occidentali: la Russia sta vincendo, l’Ucraina resisterà ancora per poco e quindi dobbiamo prepararci a breve a uno scontro diretto con le forze armate di Mosca.
I “mastini della guerra” in queste settimane stanno abbaiando in tutta Europa che dobbiamo armarci fino ai denti per andare presto in battaglia. Aveva cominciato qualche mese fa il tenente ammiraglio Rob Bauer, presidente del comitato militare della NATO, a preconizzare una “guerra totale” con la Russia nel giro di vent’anni. Ma una guerra nel 2044 deve essere sembrata poco convincente per intimorire i “panciafichisti” popoli europei; per convincere le pasciute società occidentlai ad imbracciare il fucile ora i profeti di sventura dicono che la guerra è proprio dietro l’angolo e potrebbe scoppiare anche l’anno prossimo.
Il settimanale Bild ha pubblicato da poco un “documento segreto” del ministero della difesa tedesco, secondo il quale i russi, dopo aver inflitto una sconfitta decisiva agli ucraini nel 2024, si muoveranno verso i paesi baltici nel 2025, e tenteranno d’impadronirsi del corridoio di Suwalki, la striscia di terra lunga 100 km, che corre in territorio polacco e lituano e che collega la Bielorussia con l’oblast di Kaliningrad.
Con toni ultimativi, il capo della difesa norvegese EirikKristoffersen ha detto che “il tempo sta per scadere” e che l’Europa potrebbe trovarsi in guerra con la Russia addirittura “nel giro di tre anni”. Nel rincarare la dose, il generale tedesco Alexander Sollfrank si è spinto ad affermare che in caso di “guerra totale” con il Cremlino potremmo avere attacchi missilistici russi “nel cuore dell’Europa”, i primi dei quali dovrebbero cadere proprio sulla povera Italia che detiene il non invidiabile primato di ospitare 120 basi USA sul proprio territorio.
Patrick Sanders, comandante di stato maggiore dell’esercito britannico, ha invece preannunciato che suoi concittadini “presto potrebbero essere chiamati a combattere i Russi”, e a questo scopo si renderà necessaria “una mobilitazione della nazione”. A gettare altra benzina sul fuoco è stata la premier estone Kaja Kallas che ha chiesto decine di migliaia di uomini della NATO a protezione dei confini, poichè “la Russia rappresenta una minaccia mortale per il nostro paese”. Il presidente Macron ha annunciato solennementeche la Francia “è già entrata in un’economia di guerra” e che sarà moltiplicata la produzione di armi e munizioni. In questo coro guerresco non ha mancato di far sentire la sua indispensabile voce anche il ministro della difesa italiano Guido Crosetto: “il mondo è cambiato, l’Italia si deve preparare e se c’è pericolo servono riservisti”.
E’ facile giocare ai dottor Stranamore con la pelle degli ucraini, molto più difficile mettere sul piatto quella dei nostri soldati; e pur con tutte le armi più moderne a disposizione, senza soldati al fronte disposti a combattere e a morire non si fanno le guerre, neppure quelle tecnologiche di oggi.
La retorica bellicista dei governi occidentali sembra del resto trovare ben poca corrispondenza nei giovani americani ed europei, sempre più restii a indossare la divisa per difendere “i sacri valori della libertà e della democrazia”. La crisi dell’arruolamento nei paesi del “miliardo d’oro” è riassunta impietosamente in alcuni dati: negli USA, la forza lavoro dell’esercito è calata dalle 473 mila unità del 2022 alle 452 mila del 2023, a cui si deve aggiungere la flessione degli effettivi nell’aviazione e nella marina. In dieci anni dal 2012 al 2022 l’arruolamento nelle forze armate americane è calato del dieci per cento.
Non meglio vanno le cose nel Regno Unito, altro pilastro della NATO, dove le reclute nella Royal Navy e nei Royal Marines sono crollate nel 2023 di quasi il 30 per cento. Per rimpinguare i vuoti nei ranghi, in Germania si prevede di aprire il reclutamento a cittadini di altri stati della UE, a partire da quelli dell’est più sensibili ai buoni stipendi della Bundeswehr.
Si potrebbe almeno supporre che, sull’abbondante scorta dei film di Hollywood, i soldati addestrati secondo gli standard NATO siano dei portentosi guerrieri, dei Rambo ipertecnologici in grado di mangiarsi le reclute russe a colazione. Da una ricerca condotta tra i soldati americani non si direbbe proprio, visto che circa il 70 per cento di loro risulta in sovrappeso od obeso. Pare che il problema sia così grave da rappresentare addirittura una minaccia alla “sicurezza nazionale”.
La classe dirigente che grida ora al “corri alle armi e combatti la nostra guerra” e che ciancia di una fantomatica invasione russa èla stessa che negli ultimi anni, nella più completa subalternità agli USA, aveva dato per certo il crollo economico della Russia sotto il peso delle sanzioni e del colossale sostegno militare della NATO.L’effetto di questa disastrosa politica e delle decine di miliardi di euro finora spesi in armi e aiuti per sostenere la “guerra vittoriosa di Kiev” è sotto gli occhi di tutti: l’Ucraina è un paese distrutto e sull’orlo di una disastrosa sconfitta, il prezzo delle fonti energetiche è schizzato alle stelle, interi compartimenti industriali sono costretti a chiudere o a delocalizzare, la crescita economica è quasi azzerata in tutta l’UE. Per avere un termine di paragone, il PIL dei paesi UE è cresciuto nel 2023 di un misero 0,6 per centro contro il 3,5 della Russia. Insomma, mentre Putin è ancora impegnato con successo a “demilitarizzare” l’Ucraina, gli americani nostri alleati si stanno prodigando nell’impresa ben riuscita di “deindustrializzare” l’Europa. E mentre l’Europa, per farsi ancora più male, si è inventata sul petrolio russo il price capdi 60 euro al barile, gli USA continuano ad acquistare uranio dalla Russia per un controvalore di 500 milioni di dollari all’anno.
Intanto l’Ucraina, ormai giunta al secondo inverno di guerra, viene sempre più abbandonata al suo destino dai procuratori occidentali che dal 2014 l’hanno incitata allo scontro all’ultimo sangue contro la Russia. I venti di guerra in Palestina e nel Mar Rosso stanno spostando progressivamente l’attenzione e i flussi di armi e di denaro dallo scenario ucraino a quello mediorientale. Intanto, gli americani hanno chiuso del tutti i rubinetti degli aiuti e i 50 miliardi di dollari promessi da Biden rischiano di rimanere nel cassetto a causa dell’ostruzionismo dei repubblicani alla Camera dei rappresentanti. Da parte sua, Trump ha già fatto sapere che in caso di vittoria fermerebbe la guerra “in 24 ore”, un modo sibillino per lasciare intendere la sua disponibilità a trovare un accordo con Mosca. I 50 miliardi di euro in tre anni appena stanziati dall’UE possono solo procrastinare di qualche tempo il collasso economico di un paese che di fatto non ha più risorse proprie su cui contare. Il capo dell’esercito Valerij Zaluzhny ha ammesso che il conflitto è ormai entrato in una fase di stallo e che all’Ucraina per vincere occorrerebbero ora nientemeno 400 miliardi di dollari e 17 milioni di proiettili d’artiglieria, un modo neppure troppo velato per dire che l’Ucraina non ce la farà mai a vincere.
Sul piano militare, dopo il clamoroso fallimento dell’offensiva estiva nella regione di Zaporozhye, il presidente Zelensky ha dato l’ordine al suo esercito di mettersi sulla difensiva “per resistere ai russi durante l’inverno”. La sola ipotesi di aprire trattative con il Cremlino è ancora respinta sdegnosamente, ma la situazione sul campo di battaglia nella primavera e nell’estate del 2024 può solo peggiorare: i russi continuano a condurre con metodo sistematico la loro guerra di logoramento che non punta ad avanzate travolgenti ma a esaurire le riserve materiali e umane degli ucraini. Le perdite per un paese che ormai conta tra i 20 e i 25 milioni di abitanti sono spaventose: Yuriy Lutsenko, ex procuratore generale ed ex ministro degli esteri ucraino, ha ammesso che finora, tra morti e feriti, sono stati persi 500 mila uomini, e ogni mese se ne aggiungono altri 30 mila.
Il progetto di una nuova ondata di mobilitazione generale, che dovrebbe raccogliere 500 mila nuove reclute da spedire al fronte,trova molte difficoltà a essere approvato per il timore che si riveli un fiasco. Oggi gli uomini fuggono come possono dai commissari militari dalla coscrizione che danno loro la caccia per le strade e si calcola che almeno 20 mila coscritti abbiano già lasciato il paese.
Il presidente ucraino voleva che fosse il capo delle forze armate ad assumersi la responsabilità della mobilitazione, ma Zaluzhny ha sempre rifiutato affermando che quello era un dovere che spettava al presidente. Questa è stata probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che sembra porterà a breve alla destituzione del generale in capo. Del resto, tra Zelensky e Zaluzhny, da tempo non correva buon sangue. Il comandante delle forze armate aveva disapprovato la scriteriata decisione del presidente, costata decine di migliaia di morti, di tenere a tutti i costi le città di Mariupol nel 2022 e di Bakhmut e nel 2023; e inoltre la popolarità di Zaluzhny tra i soldati e l’opinione pubblica ucraina preoccupa Zelensky perché potrebbe rappresentare una possibile alternativa politica al suo potere, ora molto meno saldo che un tempo. Sarà molto interessante vedere se la destituzione del comandante dell’esercito, data per imminente, finirà per innescare una “notte dai lunghi coltelli” nei palazzi del potere di Bankova.
Post scriptum. E’ difficile immaginare una figura più barbina di quella di cui ha dato prova il sindaco di Modena Muzzarelli nelle settimane scorse nel revocare l’utilizzo della sala civica alle associazioni filorusse intendevano celebrare la ricostruzione della città di Mariupol distrutta dai combattimenti della primavere del 2022. A pochi mesi dal termine ultimo del suo mandato, e dunque senza più ansia da prestazione, avrebbe potuto uscire di scena dimostrando di essere, almeno una volta, il sindaco di tutti i modenesi e non solo di una parte politica, un primo cittadino capace di garantire l’esercizio libertà costituzionali di riunione e di espressione, a cominciare proprio da coloro che hanno le posizioni politiche molto distanti dalle sue.
Per ritirare un permesso che era stato già doverosamente concesso dai suoi uffici, ha messo avanti argomentazioni strumentali e pretestuose, a partire da non meglio precisati “comportamentifascisti e razzisti” degli organizzatori della manifestazione, senza precisare a chi si riferisse e senza argomentare in alcun modo le prove contro di loro. Si può tacciare la Russia e chi ne sostiene le posizioni nel contesto della guerra in Ucraina, di ogni terribile colpa, ma il fascismo, almeno quello, Muzzarelli ce lo risparmi. L’’”antifascismo senza fascismo” è ormai solo un inutile marchio di fabbrica per provare l’esistenza in vita di una (ex) sinistra da tempo in stato vegetativo. Al fascismo, quello vero, appartengono quelli che impediscono agli altri di potersi democraticamente esprimere.
Giovanni Fantozzi