Ucraina, ora anche gli Usa sentono aria di sconfitta

Gli ucraini sono stati spinti al confronto con Putin e saranno sostenuti fin quando torneranno utili a sconfiggere o indebolire la Russia, non un istante di più


Di conserva a Biden è intervenuto in questi giorni anche il segretario della Jens Stoltenberg, quello stesso che fino a poche settimane fa guidava i falchi nella crociata antirussa e proclamava che la NATO non avrebbe mai riconosciuto neppure l’annessione della Crimea; con un’incredibile giravolta si è trasformato in poche settimane in un campione di realismo, promettendo agli ucraini l’appoggio per le “decisioni difficili” e per le “difficili valutazioni” che dovranno assumere, cioè per gli inevitabili sacrifici territoriali che dovranno subire sull’altare della pace.
Pure l’indecorosa classe politica europea, che con le sue sciagurate decisioni su armi e sanzioni in pochi mesi ha trascinato il continente in una deriva economico-sociale senza precedenti e senza sbocchi, sta ora goffamente rilanciando la sua offensiva di pace per trovare una impossibile quadratura del cerchio tra russi e ucraini.
Prendendo atto che il pendolo sta inclinando a favore di Mosca, molti politici del continente stanno significativamente aggiornando la loro parola d’ordine: se fino a poco tempo fa per raggiungere la pace occorreva “non umiliare Putin” ora non si deve “umiliare Zelensky”. Al di là di tante inutili chiacchiere ad uso dei talk show e di un sistema mediatico ormai irreversibilmente adulterato, attualmente il compromesso comporterebbe per gli ucraini l’inevitabile perdita dei territori delle repubbliche filorusse di Donetsk e di Lugansk, nonché degli oblast di Cherson e Zaporizhia. E’ un prezzo che Zelensky potrebbe pagare senza essere “umiliato” e senza minare le basi stesse del proprio potere? Assolutamente no, per questo è costretto a gettare di continuo nella fornace del Donbass migliaia di soldati che, a dispetto di tutti i proclami di Kiev, combattono con grande coraggio ma senza prospettiva di vittoria.
Sfortunatamente per gli ucraini, le “armi miracolose” pompate da occidente si stanno dimostrando assolutamente insufficienti per quantità e qualità ad arginare la potenza di fuoco del nemico e anche le riserve di uomini da spedire al fronte sono in rapido esaurimento. Giorno dopo giorno, il Donbass si rivela per gli ucraini una trappola senza possibilità d’uscita, e prima o poi, se non ci si verificherà qualche circostanza al momento imprevedibile, la loro resistenza è destinata a esaurirsi. A dispetto di tutte le fake news propinate sul loro conto dai media embedded solo fino a qualche settimana fa (mandati al massacro, sull’orlo del collasso, demotivati, dotati di armi vecchie e tecnologicamente superate), i soldati russi stanno manifestando grande capacità di resilienza e adattamento al contesto operativo; ora sfruttano con metodo e senza fretta la notevole posizione di vantaggio tattico e strategico per stringere nella morsa le migliori truppe avversarie che sono trincerate tra Lugansk e Donetsk. Non è chiaro quanto tempo sarà necessario per completare la conquista del restante territorio delle repubbliche separatiste, ma quando avranno finito si aprirà davanti ai russi un’autostrada verso l’Ucraina occidentale almeno fino alle rive del Dnepr. Un’eventualità che gli americani non possono permettere.
Senza successo, i vertici dell’esercito ucraino hanno insistito con Zelensky per sottrarre le truppe all’accerchiamento e quindi alla distruzione a Severodonetsk e Lisichansk. L’ex comico ha respinto finora ogni idea di ritirata, forse perché spera di guadagnare tempo nell’attesa che accada qualche imponderabile miracolo capace di rovesciare le sorti del campo di battaglia. Ma soprattutto è consapevole che nel momento in cui il fronte del Donbass dovesse cadere suonerebbe la campana funebre per lui e per il suo sistema di potere. Infatti, dopo tanti sacrifici chiesti al suo popolo per resistere ai russi e cacciarli dal suolo della patria, il paese inevitabilmente gli presenterebbe il conto, e difficilmente sarebbe sufficiente a salvarlo l’immagine iconica di eroe planetario che gli è stata cucita addosso a uso e consumo delle opinioni pubbliche occidentali.
Con l’inatteso pronunciamento rivolto direttamente al presidente ucraino, Biden ha voluto fare chiaramente capire che gli americani non permetteranno che l’eventuale vittoria di Putin nel Donbass assuma dimensioni eclatanti. Nel caso che uno Zelensky sconfitto avesse la malaugurata idea di resistere a oltranza dando seguito ai suoi bellicosi proclami (“non ci arrenderemmo mai”) gli americani avrebbero gli argomenti per convincerlo molto rapidamente a intavolare trattative di pace: da otto anni l’Ucraina è un paese a sovranità limitata, e da quattro mesi, di fatto, una provincia annessa alla NATO, da cui dipende per sopravvivere anche nella vita quotidiana e non solo per le forniture belliche. Pertanto, agli USA basterebbe la sola minaccia di staccare la spina del flusso di dollari che quotidianamente inviano a Kiev per ridurre gli ucraini a più miti consigli.
Che gli americani a suo tempo siano davvero intervenuti su Zelensky per scongiurare la guerra è una affermazione al limite del surreale; gli ucraini sono stati spinti al confronto con Putin e saranno sostenuti fin quando torneranno utili a sconfiggere o indebolire la Russia, non un istante di più. Al momento è difficile prevedere se gli USA e la NATO continuerebbero a puntellare Zelensky anche in caso di sconfitta, oppure se avallerebbero un nuovo regime che possa affrontare un drammatico periodo di transizione. Rumors indicano una possibile alternativa a Zelensky in Valerii Zaluzhnyi, capo delle forze armate ucraine, un generale capace, che ha finora mantenuto un profilo basso.
Comunque si evolva la situazione, Zelensky può cominciare fin da ora a riflettere sulle parole di Henry Kissinger, che del modus operandi degli americani è più che un conoscitore, un maestro: “Essere nemici dell'America può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.
Giovanni Fantozzi
Vittime.. Continua >>