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Ieri al processo Aemilia la difesa ha citato anche il mio nome al pentito Antonio Valerio nell'elenco di coloro che subirono minacce e atti intimidatori tra il 2010 e il 2012 ricordando i proiettili che mi vennero recapitati nell’ aprile 2012 (poi indirizzati anche a casa del mio avvocato il 25 luglio 2014); minacce che ricevetti dopo le mie denunce sui rilevanti interessi di alcune famiglie mafiose nelle associazioni di rappresentanza e nei consorzi di servizi a loro riferibili. Rileggere il mio nome associato a quei fatti è come riscoprire una paura. Perché di fronte alle minacce, ai proiettili anonimi, alle intimidazioni io - lo dico senza vergognarmi - ho avuto paura. E quel tuffo al cuore l'ho rivissuto oggi. Per un attimo. Ma allora come oggi penso che cedere alla paura significhi arrendersi e fare la gioia di chi quella paura la vuole seminare e coltivare.
E così, allora come oggi, l'ho soffocata sul nascere quella pianta malata della paura, continuando in buona fede a dire e fare quello che pensavo fosse utile per contribuire a una cultura della legalità nel mondo, l'autotrasporto, e nei mondi, in cui mi trovavo. Senza atti di coraggio. Semplicemente facendo quello che ritenevo giusto.
Ecco il mio mondo professionale allora era la Cna, quello di riferimento culturale era Libera, l'associazione anti-mafia guidata da Luigi Ciotti. Io da entrambi questi mondi sono stata isolata. Lo dico senza alcuna forma di vittimismo, tutt'altro, ma solo per fotografare la realtà. Lo dissi in seguito all’udienza in Commissione anti-mafia, la Cna mi lasciò sola (i fatti lo dimostrano) e oggi aggiungo, a malincuore, mi sono sentita tradita anche da Libera. E fa male dirlo, fa male ammetterlo.
Ma per chiudere un discorso, per citare il titolo del primo convegno nazionale da me organizzato sulle infiltrazioni mafiose nell’autotrasporto e nella logistica, alla presenza proprio di Don Ciotti, più volte ripetuta... Perché Tacere?
Perché tacere di una associazione anti-mafia che non accetta di essere sfiorata dalle critiche, che di fronte a chi solleva domande e perplessità risponde con la censura e l'isolamento? Perché tacere dei tanti professionisti dell'antimafia che promuovono iniziative, protocolli, assegnano bollini, ma che di fronte a questioni di opportunità, a domande su incarichi retribuiti, si celano nel silenzio e attaccano la loro “A scarlatta” su chi cerca solo di capire? Perché tacere sull'opportunità di continuare a pensare che l'anti-mafia sia una sorta di giudice che distingue i buoni dai cattivi (purtroppo a volte a seconda della convenienza), un giudice da usare magari in campagna elettorale (e vediamo quanto alle elezioni in Sicilia questo tema sia stato cavalcato a mo' di slogan da tutti i candidati, indipendentemente dai programmi e dalle persone in lista).
L’anti-mafia, per quel poco che umilmente ho potuto sperimentare, è una cultura che nasce dalla libertà, dal desiderio di libertà che scavalca i recinti del conveniente, delle appartenenze forzate, del 'questo non si dice'. Quella cultura io continuo a coltivarla consapevole che la mafia è la mafia, ma che i metodi mafiosi purtroppo non sono solo appannaggio della mafia.
E' in questa zona grigia, in questo pantano indefinito che cresce quella commistione tra criminalità organizzata-affari e politica. Dove è difficile distinguere dove finisce la prima e inizino la seconda e la terza. Ecco se il tuffo al cuore per quei proiettili di 5 anni fa ormai l'ho superato e vinto, se il pentito Valerio non mi fa paura, se quella pianta della paura è stata uccisa, davanti a questa nuova zona grigia io oggi continuo a sentirmi indifesa e spaventata. E lo ammetto.
Cinzia Franchini