Da anni Lapressa.it offre una informazione libera e indipendente ai suoi lettori senza nessun tipo di contributo pubblico. La pubblicità dei privati copre parte dei costi, ma non è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge, e ci segue, di darci, se crede, un contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di
modenesi ed emiliano-romagnoli che ci leggono quotidianamente, è fondamentale.
Sulla vicenda della mostra realizzata nella chiesa di Sant’Ignazio a Carpi si è materializzata l'ormai nota dinamica del 'noi' contro 'loro', delle fazioni pronte a schierarsi per difendere una tesi che possa contribuire a creare per un attimo un senso di appartenenza in un gruppo che, in fondo, ha la sua prima ragion d'essere nel definirsi diverso da chi sostiene la tesi opposta. Destra contro sinistra, vaccinisti contro no vax, juventini contro tutti.
Eppure, al di là di queste scontate dinamiche sociologiche, resta un vago senso di smarrimento nell'osservare quei dipinti e ancor di più nell'ascoltare le tesi dell'artista che li ha realizzati. L'evidente volontà di desacralizzare il punto centrale della religione cristiana, l'ostentata e orgogliosa professione di ateismo dell'artista, siamo certi rendano un buon servizio alla collettività e ai singoli individui, fedeli e non fedeli?
Al di là delle interpretazioni sulla blasfemia delle opere, è indubbio il desiderio di laicizzare l'evento supremo sul quale si fonda la Fede di un comunità e di milioni di singoli individui. Un esercizio certamente legittimo, ma il fatto che ad accoglierlo sia l'oggetto stesso dell'attacco dell'opera d'arte è meno comprensibile. La Chiesa, in particolare la Diocesi di Modena, ha giustificato, difeso, protetto, la mostra. In un cortocircuito paradossale ha protetto il messaggio ateo dell'artista dalla costernazione dei fedeli, nell'apoteosi della deriva laicista ha permesso che l'iconografia cristiana millenaria venisse affiancata da una presunta avanguardia post-modernista. Da sale della terra, a zucchero nel quale mescolare il brodo relativista. Da faro che indica una strada, anche criticabile certo ma comunque guida per milioni di uomini, a fiammella pronto a seguire il vento dei tempi.
Questo lascia interdetti.
Non per bigottismo o per logiche di gruppo, ma perchè nella personale fatica quotidiana dell'uomo, il bisogno di Dio rappresenta un equilibrio difficile e delicato: è un bisogno profondo e fragile, contraddittorio e totalizzante, e vedere Dio destrutturato proprio dalla prima istituzione che, almeno nel nostro Paese, è chiamata a trasmetterne il suo messaggio, forse non contribuisce al Bene.
Non per offesa a Dio, sia chiaro, al quale forse si può immaginare di potere tirare la barba, come fanno i bambini coi nonni, ma per offesa all'uomo.
Quale mamma davanti alla malattia di un figlio si recherebbe a pregare davanti alle opere esposte a Carpi? Quale uomo che ha perso il lavoro si inginocchierebbe di fianco ai quadri che la Diocesi di Carpi ha difeso? Chi a un passo dall'oltrepassare la porta dell'Oltre alzerebbe gli occhi a quelle immagini?
Chi all'immagine secolare della Madonna con bambino, del Crocefisso, della Sacra Famiglia preferirebbe, entrato in una chiesa per cercare conforto, affidarsi alle tele suddette?
Queste domande, forse, rimbombano in modo più drammatico rispetto alla pura polemica del 'se lo avessero fatto in una moschea'... Perchè la Fede, nella profondità dell'anima, negli abissi davanti ai quali la vita pone ciascuno, non è cultura, non è difesa delle tradizioni, non è orgoglio di un popolo, non è neppure dottrina o istituzione, ma è ricerca, ultima sperata ancora di salvezza. Al di là dei percorsi e delle sensibilità. E' comprensione dei propri limiti e dei propri peccati, trascendenza, respiro e miracolo. E i miracoli non hanno nulla a che vedere con un messaggio ateo.
Giuseppe Leonelli