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Di Maio non ha abolito la povertà, ma ha abolito il diritto di sognare

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Tornino nelle loro stanze i bambini e i puri di cuore. E' il tempo dei grandi. Degli uomini in giacca e cravatta. Che non sudano e che sono responsabili


Di Maio non ha abolito la povertà, ma ha abolito il diritto di sognare
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Forse non avrà abolito la povertà come annunciò festante dal balcone di Palazzo Chigi nel 2018, ma Luigi Di Maio, nato da Avellino nel 1986, ministro degli Esteri della Repubblica Italiana, ex Capo politico del Movimento 5 Stelle, una cosa è riuscita ad abolirla. E' riuscito ad abolire l'utopia, quello che restava di un sogno ingenuo, immaturo, finanche pericoloso, l'idea folle di una comunità in grado di stravolgere se stessa, di migliorare se stessa, abbattendo vecchie logiche e stanchi ritornelli. Di Maio con il discorso di questa sera ha definitivamente cancellato le poche fiaccole ancora accese di chi non voleva rassegnarsi alla fine di una passione vera, di una rivoluzione mancata, ma ancora possibile. La fine dell'amore per un'idea, per un progetto, per un volo tanto ambizioso quanto disperato. Eppure così vero, almeno nei sogni. Appunto.

Le parole scelte da Di Maio per abbandonare il Movimento nel quale è nato e al quale deve tutto, suonano come un pragmatico richiamo. Un brusco risveglio. Cari attivisti, ora basta con gli scherzi. Basta con i Vaffaday e basta con il grido 'onestà'. Basta con gli streaming a ogni ora e basta con gli ossequi al guru che sognava un mondo di uomini liberi. Liberi anche di sbagliare. Basta con Rousseau, basta accarezzare l'uscita dall'Euro, basta col mito di Casaleggio. Basta con le restituzioni degli stipendi e basta col vincolo del doppio mandato.
Il Parlamento non è una scatola di sardine e uno non vale uno. Ora i bambini, gli ingenui, i puri di cuore possono farsi da parte. Ora giocano i grandi. La politica è un gioco serio. No, no, non è la guerra ad essere un gioco serio.

E' la politica ad esserlo. Un gioco difficile, per i grandi. E i grandi se ne fregano. Prima viene la Nato, poi viene l'Europa e poi l'Italia. O meglio prima viene la Nato, poi viene l'Europa e poi viene Mario Draghi che rappresenta appunto la Nato e l'Europa.

L'aria è cambiata da tempo, i faccia a faccia con cui veniva deriso Bersani, simbolo incolpevole di una politica vecchia e superata, sono solo un ricordo, ma ora è la svolta definitiva. Da questa sera non si torna più indietro.

Tornate nelle vostre stanze bambini. Tornino nelle loro stanze gli attivisti che nei Consigli comunali di periferia con un rimborso di 100 euro o poco più al mese, si sono presi querele e insulti per quel sogno a 5 Stelle. Tornino nelle loro stanze i pasdaran anti pidioti, anti Pdl meno L, i fan di Di Battista e coloro che ancora pensano che il renzismo sia una malattia, al pari di quella che regna nella zona di Arcore. Spariscano con i loro insulti fanciulleschi e la loro vitalità scomposta. E' il tempo dei grandi. Degli uomini in giacca e cravatta. Che non sudano, che non si scompongono e che sono responsabili. Responsabili di tutti gli italiani, sia chiaro. Non della loro carriera, che quella non è in discussione. Figurarsi. Tornino nelle loro stanze anche gli ultimi miracolati, quelli sbarcati in Parlamento o nei Consigli regionali in virtù di quel sogno collettivo che per qualche anno ha unito un elettore su tre. Si godano gli ultimi mesi di stipendio e non si lamentino. Hanno già avuto la loro ricompensa.
E' il tempo dei grandi, degli adulti. Del Reddito di cittadinanza che non abolisce la povertà, ma che consente di avere un bacino di consensi minimo per poter essere rieletti. O almeno si spera.
E' il tempo di Di Maio, l'uomo che, con responsabilità, ha abolito l'utopia. Anzi, peggio. Che ha mostrato che quell'utopia non è mai esistita, ma che è stato solo un bluff. Da subito. Dal primo giorno.
Giuseppe Leonelli

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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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