Draghi finalmente lascia: dalla sindrome di Stoccolma si può guarire

Ma il tepore e la deresponsabilizzazione della delega in bianco che in questi mesi si è data al banchiere amato dall'Europa attrae come una insana calamita


Finalmente. Finalmente il commissario voluto dall'Europa ha fatto un passo indietro. L'amministratore di sostegno di un'Italia non ritenuta all'altezza di gestire i soldi del Pnrr e di accettare da sola le imposizioni di Bruxelles, ha detto basta. Non importa se questo risultato sia stato ottenuto in virtù delle strategie elettorali degli ormai evanescenti 5 stelle, l'importante ora è riacquistare la consapevolezza della dignità di un Paese che ha il diritto di scegliere in proprio, di sbagliare in proprio.
Un processo lungo, difficile, doloroso e non sono escluse ricadute (a partire dal disperato tentativo in atto in queste ore di ricostruire la stessa maggioranza), ma necessario. Come in una terapia di gruppo, dopo un lungo periodo di carcerazione collettiva, è necessario dire ad alta voce il proprio nome, ribadire l'orgoglio per un Paese che 76 anni fa ha scelto la Democrazia, accettandone i suoi sacrifici e il suo profumo di libertà.
Una democrazia mai compiuta, certo, sempre vigilata dagli Stati Uniti, ma comunque abbastanza reale da offrire ai cittadini una scelta tra le mura di casa. Mai, prima di Draghi, umiliata al punto di autocondannarsi a un Tso politico, mai umiliata al punto di scegliere come premier un uomo per il quale il Parlamento è poco più di un orpello e i cittadini un gregge da condurre. In un anno e mezzo di Governo, Draghi non ha mai fatto una intervista televisiva (al di là delle conferenze stampa) e ne ha concessa solo una al Corriere (evidentemente concordata): questa non si chiama riservatezza, ma arroganza. Per non parlare del suo 'non ti vaccini, muori e fai morire', assioma falso e indecente per il quale mai ha chiesto scusa e della sua scelta (assunta in totale autonomia e in sfregio al volere popolare) di porre l'Italia in prima fila nell'invio di armi all'Ucraina.
Ma uscirne adesso è possibile. Non è facile, sia chiaro. Perché il tepore e la deresponsabilizzazione della delega in bianco che in questi mesi si è data al banchiere amato dall'Europa attrae come una insana calamita, come il canto delle sirene di Ulisse. Eppure non è impossibile. Dalla sindrome di Stoccolma si guarisce, i partiti, sì proprio i partiti, tanto criticati, possono provare a fare un vero scatto d'orgoglio. Invece di piangere l'addio di colui che li ha condannati alla irrilevanza totale, invece di nascondersi dietro al paravento di una sterile 'responsabilità', possono assumersi la responsabilità (quella vera) della rappresentanza. Possono dimostrare al mondo cosa significa essere la culla della cultura e sbattere in faccia all'Europa, ancora una volta, cosa è il Rinascimento, per citare Gaber. Perché dopo Draghi non ci sono i leoni, i leoni sono ora, al di qua delle colonne d'Ercole.
Non importa quale sia la legge elettorale. Si va a votare, si misura il peso reale delle varie forze politiche e, in base a quello, si forma un Governo. Italiano. Non formato sotto dettatura dall'Europa. Un Governo italiano, specchio della volontà popolare, un Governo che si assume il rischio di fare errori, ma che corre con le proprie gambe, senza una perenne safety car davanti a sé che lo riduce a obbediente esecutore di traiettorie e velocità già definite. Un Governo democratico, non un Governo che usa l'aggettivo 'parlamentare' per storpiare il sostantivo 'democrazia'. Un'utopia? Un sogno ingenuo che si scontra con la crisi e le difficoltà enormi che dovremo affrontare in autunno? Forse... Eppure l'alternativa di questa utopia appare ancor più folle. Proseguire al calduccio di un commissariamento, accettare di non essere in grado di autodeterminarsi non è forse folle? Non è mai un giorno sbagliato per scegliere la libertà. E non lo è certo oggi.
Giuseppe Leonelli
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