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Era il 3 marzo 2015. Esattamente tre anni fa a Modena il giudice Antonino Di Matteo e don Luigi Ciotti, insieme al sindaco Gian Carlo Muzzarelli, intitolavano La Tenda di viale Molza alle 'Vittime innocenti di tutte le mafie', una cerimonia che avveniva a un mese di distanza dal conferimento solenne della cittadinanza onoraria modenese in Consiglio comunale al giudice anti-mafia.
Tre anni sono passati e oggi, nel giorno della chiusura della campagna elettorale, nel giorno del silenzio elettorale, registriamo il triste silenzio che per tutta la campagna elettorale a Modena, ma anche a livello nazionale, ha coperto il tema delle infiltrazioni mafiose.
Quella spilletta lucida dell'antimafia che Modena si appuntò sul petto tre anni fa, sull'onda delle evidenze dell'indagine Aemilia, (sfociata nel maxi-processo della ‘ndrangheta al nord) oggi la stessa Modena la nasconde nel silenzio, o tutt’ al più dietro alla solita, sterile, condanna formale alla criminalità organizzata.
Condanna strumentale che non tocca la radice del problema, strumentale come quel fervore antifascista che ha animato il centrosinistra in campagna elettorale nell'evidente (e goffo) tentativo di non parlare dei problemi pressanti del Paese.
Eppure di quella lotta autentica alla mafia, una lotta scomparsa o quasi dall'agenda politica e dai programmi dei vari partiti in campagna elettorale, ce ne sarebbe oggi più che mai bisogno. Il processo Aemilia contro la 'Ndrangheta in Regione ha dimostrato come i tentacoli della criminalità abbiano toccato sempre più imprenditori locali in un vero e proprio sistema. Al nord e in Emilia esiste una 'borghesia mafiosa' fatta di 'imprenditori, liberi professionisti e politici che ricercavano il contatto con la cosca in ragione delle ampie opportunità offerte dall'appoggio dell’organizzazione”.
Emblematiche anche le motivazioni della sentenza di appello in Abbreviato al funzionario comunale Giulio Gerrini rese pubbliche pochi giorni fa.
Secondo i giudici nel Comune di Finale Emilia 'era chiaramente delineato un sistema', consistente 'in una spartizione clientelare degli appalti pubblici, che arrivava a stabilire gli effettivi esecutori delle opere aggiudicate anche da enti diversi al Comune stesso'. Insomma un vero e proprio sistema mafioso - secondo i giudici - che univa economica locale e amministrazione pubblica. Per la Corte d'appello di Bologna sono poi 'incontroverse' le irregolarità emerse dalle indagini come pure il fatto che il gruppo aziendale dei Bianchini (oggi a processo nel filone principale di Aemilia) era 'asservito alle richieste della cosca calabro emiliana, che, per il tramite di Michele Bolognino e Giuseppe Giglio, puntava sulle potenzialità economiche della regione ed infiltrarsi nel settore edilizio e dei trasporti emiliani, approfittando proprio della ricostruzione post sisma”.
E se in questo contesto molte delle associazioni di rappresentanza locali continuano a dormire tra due guanciali, perchè si sa il business is business e anche le richieste di costituzione di parte civile non vengono viste di buon occhio (e lo dico per esperienza personale), la politica appare (volutamente) distratta.
Così di fronte a questo sistema, il sistema locale (per usare un termine noto), i partiti, le forze che domani si sfideranno alle urne, hanno eretto un muro. Non una barriera protettiva, ma un muro di silenzio.
Cinzia Franchini