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Finita la pacchia per i clandestini? Da Salvini un grave errore

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La cuccagna di ognuno di noi sta nel trovare vita e lavoro nei posti a cui siamo emotivamente legati. Tutti gli immigrati sognano di morire nella propria patria


Finita la pacchia per i clandestini? Da Salvini un grave errore
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Spero che Matteo Salvini, se non l’ha già fatto, chieda scusa dell’inumana frase che gli è sfuggita: “Gli immigrati sappiano che da oggi è finita la cuccagna”. Spero che volesse dire che è finito il tempo delle immigrazioni senza controlli. Immigrazioni che nell’equivoco della tolleranza generano, di solito, assai più disperazione di quanta non ne generi il rifiuto e la tolleranza stessa senza regole.

La clandestinità lascia spazio a delinquenti e sfruttatori di ogni genere. Non voglio scrivere nessun articolo ma non intendo nemmeno tenermi dentro il turbamento di un profondo disappunto. E’ da ieri che ci penso. Ho rivisto la mia infanzia. Le difficoltà della mia famiglia. L’umiliazione dei mie nonni (nel mio caso sostituirono i mie genitori) che mangiavano pane nero per lasciare a me quello bianco quando c’era.

Dall’alba al tramonto mio nonno, muratore, lavorava per sfamare (malamente) la sua famiglia. Sfruttato, sempre.

Discriminato per le sue idee socialiste, il lavoro lo aveva a periodi alterni. Faceva il muratore, e come tutti quelli che svolgevano un lavoro stagionale nell’edilizia, era mal pagato, e sottoposto a sacrifici sofferenti e umilianti. Dopo avere allevato cinque figli, tutti in miseria, si trovò un nipote di appena undici anni (il sottoscritto) da mantenere. Un nipote che non ne voleva sapere di lavorare. Si era stranamente messo in testa di diplomarsi in violino. Ma lasciamo perdere…

Credo che possa far bene a tutti lasciare a lui (Alessandro Manzoni) la parola.

“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d’essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell’ampiezza uniforme; l’aria gli par gravosa e morta; s’inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro; e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a’ suoi monti.

Ma chi non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi aveva composti in essi tutti i disegni dell’avvenire, e n’è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi, staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que’ monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l’immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”.

In questi anni, barconi messi assai peggio di quello di Lucia, sono tragicamente naufragati. La criminalità si è arricchita. Gli istinti più bestiali si sono accaniti su giovani danne disperate. La cuccagna di ognuno di noi sta nel trovare vita e lavoro nei posti a cui siamo emotivamente legati.

Nessuno si sognerebbe mai di andare altrove a cercare, con rischio, incertezza e miseria, la sopravvivenza quando questa è garantita a casa propria. Tutti gli immigrati che ho conosciuto, anche quelli che hanno fatto fortuna, hanno come sogno quello di morire nella propria patria. Matteo Salvini ha commesso un grave errore. Tutti si può sbagliare. L’importante è correggersi e da ogni errore trarre insegnamento.

Adriano Primo Baldi



Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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