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Con la squadra modenese di Fdi in Regione rappresentata (e applaudita unanimemente dal gruppo consigliare) solo dalla moglie del coordinatore regionale e dal suo storico braccio destro, destro in tutti i sensi vista la foto nostalgica Msi, e con la Lega che ha perso a sorpresa il suo consigliere regionale, il ruolo di Forza Italia a Modena assume una dimensione sempre più centrale. Almeno per dare rappresentanza all'ala liberale, fuori dalla nostalgia missina, alternativa al Sistema Pd.
E' vero che anche Forza Italia - nonostante le oltre 2mila preferenze incassate da Antonio Platis - ha mancato l'elezione di un rappresentante in viale Aldo Moro, ma in campagna elettorale ha dimostrato una vitalità e un pluralismo interno superiore a quello di altri partiti.
La competizione, accesa anche dal punto di vista personale, tra Antonio Platis, Piergiulio Giacobazzi e Giovanni Gidari, al di là del risultato in termini di preferenze ottenuto, ha permesso di portare in città ministri e leader del partito nazionale e ha dato un contributo reale nel dibattito su alcuni temi di merito, la sanità e salvaguardia degli ospedali periferici come Pavullo e Mirandola su tutti.
Ora il partito di Tajani in città è a un bivio: trasformare questa competizione in un correntismo e in una conseguente lotta tra bande o approdare a una sintesi tra i tre esponenti di spicco finalizzata a far crescere il partito assumendosi finalmente la responsabilità di creare una rete che consenta di costruire una opposizione credibile, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
Razionalità ed esperienza consigliano che la prima soluzione sarà quella che prevarrà: qualcuno per ambizioni personali spingerà per il congresso (ovviamente con la scusa di amplificare la democrazia interna), qualcuno si arroccherà in difesa cercando sponde a Roma, qualcun altro opterà per sponde opposte a quelle dei rivali sperando di aver scommesso sui cavalli giusti.
Eppure, ancora una volta, la speranza di una inaspettata svolta diversa non si è spenta. In fondo, a ben pensarci, provare a percorrere una strada nuova non è molto più rischioso di camminare su quella che ha portato sinora solo a una serie di delusioni. Il rischio dell'apertura in fin dei conti non può essere molto maggiore della certezza del fallimento testata sinora.
Per scrollarsi di dosso personalismi e scontri fratricidi serve però una presa d'atto del tutto inusuale per le regole della politica e che forse solo la prima stagione di Berlusconi riuscì a mettere in atto.
La generazione dei 40enni (Platis, Giacobazzi e Gidari) è chiamata ad avere fiducia in se stessa, credere nelle proprie potenzialità, rischiare di fidarsi anche del proprio compagno di partito e immaginare che si può correre senza aggrapparsi a ingombranti (per usare un eufemismo) figure-ombra, modenesi o romane che siano. Del resto anche la lezione di Vignali a Parma dimostra come ancor prima delle logiche di corrente, vengano le persone. Allora la sfida per i liberali modenesi è tutta qua: provare a fare una cosa nuova, provare a rischiare senza la paura che porta a difendere il proprio cortile, ma con la generosità di lavorare in squadra, unendo le tre anime interne e, parallelamente, spalancando le porte del partito a energie nuove. Un lavoro di squadra che non significa necessariamente spartizione delle poltrone, ma che anche in ottica machiavellica potrebbe consentire di arrivare a risultati che da soli finora sono sempre apparsi inarrivabili. Con una consapevolezza chiara: i sedicenti Richelieu, gli ex parlamentari, i grandi vecchi e capibastone del partito sulle divisioni a Modena campano e prosperano e forse, l'unica cosa che temono, è proprio un'unità che rende più forti e, al netto degli abissi personali di ciascuno, più liberi.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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