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Il volto di Bernadetta che oggi come ieri mette a nudo le debolezze di un sistema

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Il grido inascoltato della modenese uccisa dal suo compagno impone oggi una riflessione sulla rete che doveva e poteva proteggerla


Il volto di Bernadetta che oggi come ieri mette a nudo le debolezze di un sistema
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Una morte terribile, agghiacciante, quella di Bernadetta Fella. Un omicidio, quello che la vide vittima, che fece e che fa riflettere. Più di altri. Non solo i giuristi alle prese con una legislazione che porta all'assurda possibilità che il colpevole (sempre presunto fino a prova contraria), di un delitto così efferato possa accedere al rito abbreviato ed arrivare a scontare una pena effettiva di carcere di meno di 10 anni. Perché così potrebbe essere per il delitto Fella. Perché così prevederebbe la legge. Perché l'assurdo, sempre più spesso, è tale non solo in relazione al delitto ma anche (ed è questo che a tratti spaventa e demolisce), nella misura della pena prevista dalla legge. 

Assurdo come lo è l'efferatezza di un delitto simile. Assurdo come quel mondo di solitudine che lasciò Bernadette isolata nel suo dolore e nella sua paura.

Perchè nella città e nella provincia dei servizi sociali ed antiviolenza promossi come eccellenza nazionale, quella morte rappresentò (ed è giusto che oggi rappresenti ancora), un assurdo. Che fa saltare ogni parametro, che è segno e simbolo delle crepe (e delle ipocrisie), di un sistema, incapace di fare autocritica e di guardarsi allo specchio. E di migliorarsi, dopo l'indignazione. Un sistema, che si fa chiamare rete  di assistenza e protezione alle donne vittime di violenza. Anche di quelle meno nascoste come lo era Bernadetta che più volte aveva denunciato invano i maltrattamenti dell'ex convivente. Lei, Bernadetta, che sapeva (e aveva fatto sapere), che la sua morte sarebbe prima o poi arrivata per mano di quel folle criminale che pur denunciato continuava ad essere libero di andarla pure a trovare. Quel grido inascoltato, quello di Benedetta, che quella rete mette a nudo.

Che le tante morti quasi annunciate che la cronaca ha continuato a registrare 'oltre Modena', mette a nudo.  

Quella rete che  dei risultati, certo, in questi anni ne ha ottenuti (e le donne salvate ed aiutate fanno sicuramente meno notizia di quelle uccise),  ma forse più sul fronte della riduzione del danno (più evidente e spesso ben remunerata) che sul fronte della prevenzione. Un sistema fatto di reti vere o presunte, fatto troppo spesso di slogan, di tavoli, conferenze e forum al femminile (spesso politicamente guidati o legittimati). Un sistema che nel momento del bisogno, del reale bisogno, del grido di aiuto, quella donna lasciò comunque sola. Sola, sola, sola, davanti a quella mano criminale. Sola dentro nel frigo di uno scantinato umido e caldo. A marcire. Perchè il volto di quella donna cercata solo perchè si sentiva la puzza del suo corpo decomposto, pesa ancora tanto, ieri come oggi. Come un macigno, sulle coscienze di chi poteva o doveva proteggerla e non lo ha fatto. Non lo ha fatto. Perchè di fronte ad una morte così, non ci sono scusanti, non ci sono se e non ci sono ma, che possano lavare le coscienze. Tantomeno i minuti di silenzio del giorno dopo e le indignazioni social del post sentenza'

Gianni Galeotti


Gianni Galeotti
Gianni Galeotti

Nato a Modena nel 1969, svolge la professione di giornalista dal 1995. E’ stato direttore di Telemodena, giornalista radiofonico (Modena Radio City, corrispondente Radio 24) e consiglie..   Continua >>


 

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