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Badr Amouiyah 19enne nato a Modena e residente a San Prospero, Moez Akari 22enne nato a Tunisi e residente a Castelnuovo Rangone, Andrea Cavallari 20enne nato a Modena e residente a Bomporto, Ugo Di Puorto 19enne nato ad Aversa e residente a San Prospero, Souhaib Haddada 21enne nato in Marocco e residente a Bomporto, Raffaele Mormone 19enne, nato a Modena e residente a San Cesario sul Panaro.
Sei nomi, sei storie di ragazzi deviati al punto da essere capaci di uccidere e di ridere dei loro crimini. Sei ragazzi che nelle intercettazioni telefoniche seguite alla tragedia del dicembre scorso considerano quelle giovani vite spezzate, da loro spezzate, un incidente di percorso, un ostacolo alla buona riuscita dell'ennesimo colpo, al successo della serata che se non fosse stato per quell'imprevisto avrebbe potuto continuare in altri locali, con altri furti. Forse con altri morti.
Sui quali, magari, ridere.
Ma a destabilizzare il senso comune non è nemmeno questo. E' ciò che è contenuto in quei sei nomi ed in quelle sei storie modenesi, di ragazzi che magari hanno convissuto fianco a fianco ai nostri figli, in una serata in discoteca, in quei concerti al chiuso nelle serate di inverno ed in locali stipati della provincia. Sei nomi e sei storie capaci di rendere destabilizzante anche la risposta al bisogno di conoscere i loro nomi, la loro nazionalità, il contesto in cui ricercare ciò che li ha fatti diventare criminali e mostri, capaci di ridere anche dopo avere causato 'in maniera preterintenzionale' (così l'accusa di omicidio nei loro confronti), la morte di chi potrebbe essere nostro figlio. Perché quella risposta e quella realtà sono in grado di smantellare anche le nostre deboli certezze così come i nostri pregiudizi.
Legati allo straniero che delinque perchè non integrato, o in questo caso alla banda di stranieri che delinque, ai modenesi che 'quelli veri sono un'altra cosa' e ci scometto 'che non sono Italiani'.
Perché lì, in quelle identità riassunte in sei nomi, c'è tutto. C'è il marocchino, c'è l'italiano di seconda generazione, c'è il meridionale parente di una famiglia di casalesi 'trapiantato' a Modena e c'è il modenese della porta accanto. In un mix che non ci permette di identificare un modello, un perché, una motivazione religiosa, culturale, sociale, da condannare. In quel mix non c'è riferimento, nemmeno per trovare spazio al nostro pregiudizio, nemmeno per la nostra volontà di inquadrare e classificare, per dissacrarla e per vincerla, quella follia. Perché lì tutto é perfettamente integrato nella cultura del male e del crimine. Un crimine che appare in grado di unire più di ogni lotta al crimine stesso. Un male che fa paura perché unisce più del bene ed è capace di farsi storia quotidiana del e nel nostro mondo, modello sbagliato, ma pur modello, dei nostri tempi e per i giovani di oggi. Basta guardare le foto dei profili Facebook di quei ragazzi, confrontandoli, nei modelli a cui si ispirano e nei simboli che ostentano, con quelle di altre migliaia di ragazzi della loro età, nell'intreccio e nella loro rete di amicizie che spesso li portano, seppur nel mondo dei social, vicino a noi, per rendersene conto. Fino a farci pensare che forse quella verità così scomoda legata a quei nomi e quelle storie, perché quasi normale e vicina a noi, forse non avremmo voluto conoscerla.
Gi.Ga.
Redazione Pressa
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