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Il tentativo del sindaco di Modena, iniziato ieri e continuato oggi con un post sulla propria pagina FB, di portare sul piano non solo politico ma dell'attacco e dello scontro politico, il palcoscenico e i contenuti del Modena Pride, va ben oltre alla discussione sulla opportunità o meno dell’utilizzo della fascia tricolore in quel tipo di manifestazione.
Su questo fronte sindaco e giunta, per altro, dimostrarono già nei fatti, anche in occasione della manifestazione contro la bocciatura della Legge Zan e di fronte alle polemiche che ne seguirono, di non sentire ragione. Utilizzando la fascia tricolore (in quel caso fu l’assessore Baracchi ad indossarla), anche in una manifestazione di quel tipo, nella quale, cosa non di poco conto, venivano messi in discussione anche tanti aspetti di quella Costituzione che nel tricolore ha la sua espressione. Paradosso istituzionale che lasciamo alla storia.
Ciò comunque per dire che visti tali precedenti, ieri ci saremmo meravigliati del contrario. Ovvero se il Sindaco a capo del corteo si fosse presentato a titolo personale, come Giancarlo Muzzarelli, e non in nome della istituzione che rappresenta.
Quello che non finisce mai di stupire è il non fermarsi all'utilizzo pur discutibile, della fascia tricolore, eventualmente giusticandola come altri sindaci PD lo hanno fatto, con la testimonianza dell'adesione delle istituzioni alle ragioni delle manifestazioni, ma l'avere accompagnato il tutto con l’innalzamento, sia durante sia nelle ore successive al corteo, del livello dell’attacco politico, della provocazione verbale, del messaggio politicamente divisivo. Dalla testa del corteo come se Comune ed Amministrazione ne fossero non partecipanti ma promotori. Attacchi e attacchi politici, che per altro quest’anno erano di fatto totalmente esclusi, in forme e voci, nel corteo.
Noi che quel serpentone di migliaia di persone lo abbiamo seguito, documentandolo anche dall’interno, dall’inizio alla fine, non abbiamo respirato, visto, ascoltato, letto, nulla di quanto ha paventato il sindaco. L’attacco politico, la divisione, la contrapposizione si è ridotta ed è stata alimentata solo dalle sue parole. Quelle di Giancarlo Muzzarelli in fascia tricolore.
Dirottando forzatamente sui binari della critica al governo e alla destra (ormai identificabile nella logica divisiva del sindaco a tutto ciò che non è di sinistra), i contenuti plurali e non divisivi del Pride, paventando una deriva omofoba e orbaniana a cui la destra avrebbe inesorabilmente indirizzato il paese, dividendo buoni e cattivi, con un messaggio esclusivo, il sindaco in fascia tricolore ha affermato l’esatto contrario del messaggio di apertura, di distensione, di inclusione e di libertà che quel corteo colorato ha inteso esprimere. Nella piena libertà di farlo. E al di là delle opinoni. Senza contro ma con tanti pro. Quest'anno più che in altri.
E’ come se una macchia istituzionalmente stonata e politicamente grigia avesse offuscato la libera e trasparente espressione di una manifestazione che si è sostanziata in festa colorata gioiosa e sobria come non mai, anche nelle forme. Senza cartelli e frasi di odio o di dileggio politico, e che voleva, pur nelle sue connotazioni di parte, essere di tutti e per tutti. Quantomeno formalmente. Esprimendo con tono deciso, ma comunque rispettoso, le proprie posizioni. Come detto, l’attacco politico, i toni e i termini divisivi, la contrapposizione, si sono ridotte e isolate nelle parole del sindaco in fascia tricolore.
Difficile capire se questo utilizzo politico del Pride, da parte del sindaco PD, sia avvenuto, pur al netto del clima elettorale, in modo strumentalmente consapevole o banalmente inconsapevole. Fatto sta che Muzzarelli ha espresso nei modi, nei toni e nei termini, paradossalmente proprio ciò che ha ripetutamente contestato a quella che lui chiama destra. Discriminazione, esclusione, contrapposizione. Esponendosi, inoltre, ad una pericolosa deriva concettuale: targare l’identità sessuale e di genere e la difesa dei diritti con l’appartenenza politica, la difesa dei diritti della persona, dell’individuo e della famiglia, come battaglia di parte, di una parte. Come se l’essere gay o trans, bisex, ma soprattutto la difesa dei loro diritti e delle persone che sono prima di tutto persone ancora prima della parcellizzazione di genere sintetizzata nel LGBTQ+, fosse cosa di destra o di sinistra. Come se in quel corteo ci fossero persone di una certa parte, gli unici, insieme a lui, ad avere l’esclusiva ed il patentino di difensore dei diritti.
Confondendo il piano politico con quello istituzionale, il piano individuale con quello collettivo, il piano morale con quello ideologico. Con l’improbabile tentativo finale di sanare il tutto con l’espressione, anch’essa ridotta e svilita a slogan politico ‘L’amore può tutto’. O quasi, diremmo noi. Visto che il potere di affrontare discussioni e temi così delicati e trasversali senza agitare volutamente lo scontro politico sembra ancora obiettivo lontano. Anche in nome dell’amore.
Gi.Ga.