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L'inaugurazione, prevista per il mese di settembre del prossimo anno con il concerto di Ligabue nel trentennale della sua carriera, della RCF Arena, area attrezzata permanente da 100.000 posti, va ben oltre il significato di un'area attrezzata per grandi eventi musicali all'aperto. Quell'area rappresenta un simbolo di sviluppo e di prospettiva, economica e sociale, oltre che culturale e territoriale. Sarà l’unica struttura al mondo attrezzata in grado non solo di ospitare fino a 100.000 grandi eventi live all’aperto, ma anche di promuovere il territorio e le sue eccellenze culturali, turistiche e dell'intrattenimento. Tutto ciò che Modena avrebbe dovuto e potuto coltivare negli ultimi 20 anni, forte dei suoi nomi, dei suoi marchi di quanto abusandone il termine, chiamiamo eccellenze.
Un progetto, quello della maxi-arena al campovolo che mostra, come già avevamo avuto modo di sottolineare alla presentazione del progetto, una visione politica di prospettiva e di sistema.
Che Modena non ha, o non ha più, da almeno 20 anni. In campo infrastrutturale (vedi le scelte, condivise ai tempi anche dall'attuale sindaco Muzzarelli, che hanno portato lontano dal centro l'alta velocità dalla quale Modena, a differenza di Reggio, Emilia, è stata esclusa), dall'uso degli spazi (si veda il naufragio dell'area strategica dove doveva sorgere il polo funzionale di Cittanova 2000, o del quartiere fieristico stesso che a Reggio è stato in parte riconvertito, nei tempi 'morti' ad ospitare spettacoli musicali e teatrali al coperto e che a Modena è rimasto ad una dimensione di fatto provinciale; per arrivate all'inutilizzo del Parco Ferrari post Modena Park. Senza considerare lo sviluppo dei servizi (si provi oggi a raggiungere il tribunale di Reggio Emilia e quello di Modena), o il mancato organico a Modena, dei progetti di rigenerazione nella fascia ferroviaria nord e fino al Villaggio Artigiano, rimasti sulla carta, senza, appunto, una visione di insieme.
Modena, capace quando ci si mette, di essere protagonista, pur in maniera geniale perché quasi estemporanea, di grandi cose, addirittura di capolavori (nei motori, nella musica, nella cucina), difetta da molti, troppi anni, a livello di governance, di una visione di sviluppo, di una programmazione concreta e di insieme e, appunto, di prospettiva e di respiro internazionale capace di valorizzarle quei valori aggiunti. A quel livello internazionale che Modena era e doveva continuare ad essere. Semplicemente per ciò che ha. Per la sua storia, per la sua tradizione. Cose belle, cose buone e cose grandi, che avevano solo bisogno di essere valorizzate, non solo nello spazio di una sera. Nuovamente. Perché Modena quei tempi in cui fare sistema e pensare in grande in maniera continuativa, li ha conosciuti. Eccome. Fino alla fine degli anni 80 è stato così.
Perché dopo, e la fotografia dell'oggi lo dimostra, quella visione si è persa e si è proceduto (o non proceduto), a macchia di leopardo con mega-progetti solo annunciati o embrionalmente naufragati (la lista è nota quanto lunga), perché non inseriti in una visione di insieme. Dagli spazi urbani non riqualificati e scuciti da decenni dal contesto urbano, fino ad arrivare allo stesso Parco Ferrari, soprattutto e proprio nella parte che ha ospitato il concerto dei record del Modena Park, o al contenitore pieno di investimenti ma vuoto di identità e di prospettiva quale è il S.Agostino. Un grande mosaico dove i pezzi, a differenza di quelli che hanno realizzato in una notte l'immagine del successo del Modena Park, in parte sono anneriti, in parte sbiaditi, in parte mancanti. Al punto che in nessuno di questi trova ancora, dopo 20 anni, spazio e definizione nemmeno per un luogo per ricordare, e tantomeno ospitare, al di la delle celebrazioni canoniche della nascita e della morte, un omaggio degno e continuativo per Pavarotti. A Modena si parlò, e naufragò anche questo: il Palapavarotti.
In questa ottica, di una politica incapace di porsi obiettivi di medio e lungo termine, di guardare al futuro e di progettarlo, si sono persi almeno 20 anni. Il Modena Park, e la perfetta riuscita dell'evento, frutto di una città che aveva ritrovato per una settimana, al di la dei pareri, l'orgoglio di essere protagonista di un avventura mondiale (quella che un tempo i modenesi ora cinquantenni vivevano nelle due giorni uniche di U2 o di Pink Floyd allo stadio Braglia o dei Monster of Rock, tanto per rimanere in tema), aveva riacceso un barlume di speranza. Quella di vedere realizzarsi se non un evento simile ogni anno, almeno un progetto strutturato capace di dare continuità a quell'idea di una città capace di grandi cose e di grandi eventi. Come lo era negli 80 e come, per due giorni, era tornata ad essere. Modena doveva ripartire da li, invece si è nuovamente fermata lì. Come in questi ultimi 20 anni è più volte successo. Il nulla, dopo grandi slanci. Slanci che Reggio ha avuto e realizzato, non grogiolandosi sui record di una notte ma guardando al futuro di quelli possibili nei prossimi 10 o 20 anni. Anni e ritardi, frutto di scelte, e soprattutto non scelte, che difficilmente Modena potrà sperare di recuperare affidandosi a coloro che di quei ritardi o di quelle scelte ne è stato responsabile.
Gianni Galeotti