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Fa quasi tenerezza Giancarlo Muzzarelli, che si affretta goffamente a chiedere alla luna, dalle colonne di quotidiani locali che nessun leader nazionale leggerà mai, un passo indietro da parte di Matteo Renzi pochi giorni dopo la drammatica sconfitta elettorale. È un discutibile tentativo di riposizionamento politico, quello messo in scena da Muzzarelli. Reso ancora più imbarazzante dal fatto che a nessuno sfugge come il sindaco di Modena sia stato uno dei più convinti convertiti al renzismo. Il gesto di Giancarlo Muzzarelli deve però anche far riflettere. Perché mette a nudo il drammatico spaesamento del primo cittadino, abile produttore di tantissima agitazione comunicativa sin dal principio del suo mandato, meno abile a tradurre in una vision, in un progetto di città, le tonnellate di comunicati, promesse, interventi.
Ma Muzzarelli è stato in questi anni soprattutto artefice, il principale, dello scollamento sempre più profondo tra gli elettori modenesi di centrosinistra e la sua ormai malconcia leadership.
Uno scollamento che gli elettori di quella che tanti dentro il Partito Democratico pensavano potesse essere l'isola felice capace di reggere l'onda d'urto di un voto che ha raso al suolo innanzitutto il partito guidato da Matteo Renzi, hanno vomitato nella cabina elettorale. Un modo rabbioso per manifestare la distanza siderale tra il partito, i suoi leader e cacicchi locali ed il suo popolo, tradottosi in un drenaggio di consenso preoccupante: il Partito Democratico è passato, in città, dal 42,2% del 2013 al 31,4. Lasciare sul terreno undici punti percentuali, in una terra “rossa” come è sempre stata Modena, significa aver dilapidato ben 14.500 voti. Ma significa soprattutto che Modena, dopo 74 anni di ininterrotto governo centrosinistrorso, può diventare finalmente terra politicamente contendibile.
Questo accade soprattutto grazie a Giancarlo Muzzarelli, cioè a colui che in questi anni ha pesantemente personalizzato e personificato la vita politica cittadina, come ha fatto Renzi sul piano nazionale.
E come Renzi, Muzzarelli è stato capace di coagulare attorno a sé una insofferenza diffusa e crescente verso la sua persona, che spesso sconfina con l'odio. Muzzarelli – e con lui il Pd che l'ha lasciato fare – paga dazio per anni di ricette anacronistiche, di inconcludente autoreferenzialità, di muscolare arroganza, di spocchiosa allergia ad ogni critica, di quotidiana invasione comunicativa dei media locali.
A Modena, gli elettori di centrosinistra hanno voluto dare un segnale chiaro e forte più a Muzzarelli che al Pd di Matteo Renzi. Per questo, il calcolo del sindaco di Modena secondo cui basterebbe derenzianizzarsi chiedendo pubblicamente le dimissioni del segretario nazionale per recuperare consenso, appare tragico, oltre che comico.
Muzzarelli è e rimane l'uomo che accoglieva a Modena Matteo Renzi, come fosse un santo o un Papa. Muzzarelli è e rimane l'uomo che godeva a farsi immortalare in prima fila alla Festa dell'Unità ogni volta che Renzi parlava. Muzzarelli è e rimane l'uomo che si vantava privatamente e pubblicamente di avere solide relazioni con gli ambienti renziani del Partito e del Governo, fino a definirsi addirittura “lo stalker della Madia”. Ma Muzzarelli è e rimane, in particolare, l'uomo che più di ogni altro suo predecessore ha spinto con forza, come Renzi ha fatto a Roma, sul pedale della disintermediazione, cercando di costruire sulla sua persona, attorno ad essa, un sistema di potere appunto personale. Fatto di scelte, nomine, azioni messe in campo bypasssando il partito, frustrando la relazione con i propri elettori, mettendo in soffitta un sistema di discussione, almeno formale, con le cosiddette parti sociali e privilegiando invece una relazione elitaria, ancorché peericolosa – l'esperienza disastrosa di Vaciglio lo dimostra - con una ristretta cerchia di “potentati” economici, a loro volta sulla via del tramonto.
Eli Gold