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Basterebbe mettersi nei panni di un cittadino della Romagna che ha perso tutto: le macchine, i ricordi, i mobili della casa, i vestiti. Che sta spalando da giorni il fango, con rabbia e con le lacrime agli occhi, mentre i media continuano a mandare immagini di volontari che cantano Romagna Mia. Una canzone, un inno, che egli sente storpiato e piegato sull'altare della retorica strumentale e inutilmente sentimentale.
Basterebbe mettersi nei panni di uno delle decine di migliaia di sfollati ai quali chi governa da sempre il territorio non ha avuto il coraggio di chiedere 'scusa', perchè scusarsi sarebbe ammettere una colpa troppo grande per essere confessabile. E che in compenso deve subire la litania delle rassicurazioni e dei 'rimborseremo tutto' (a Nonantola sono passati quasi tre anni dalla alluvione e tanti sono ancora in attesa), condite da sterili lodi alla 'diversità' emiliano-romagnolo, al tenere botta e al rimboccarsi le maniche.
Come se esistessero alternative.
Basterebbe smetterla di appellarsi al cambiamento climatico (pur vero indipendentemente da cosa sia dovuto) per giustificare decenni di immobilismo, di mancati interventi di manutenzione delle rete idrogeologica, di consumo di suolo e di promesse elettorali non mantenute.
Basterebbe far questo. E dopo aver camminato per qualche ora nelle scarpe, negli stivali, delle vittime della alluvione, chiedersi se è pensabile indicare come commissario alla ricostruzione l'attuale governatore dell'Emilia Romagna. E' giusto delegare il compito di distribuire la montagna di risorse (alla fine probabilmente saranno oltre 5 miliardi) destinate a rimettere in piedi un territorio a colui che da 8 anni quel territorio lo amministra e che non ha usato una sola parola di autocritica all'indomani del disastro? Come nel caso della riapertura dei punti nascita in montagna: promessa elettorale a vanvera di Bonaccini, non solo non mantenuta, ma sepolta da una marea di dichiarazioni e comunicati stampa e seguita da ulteriori chiusure.
E' giusto delegare la ricostruzione della Romagna a chi ha paragonato l'alluvione al terremoto del 2012? Come se andare due metri sott'acqua nel 2023 fosse un evento non prevedibile, davanti al quale non si può che restare inermi e incolpevoli. Come se le sette alluvioni in 9 anni che hanno piegato zona diverse dell'Emilia Romagna non fossero avvenute.
No, gli alluvionati non capirebbero la nomina di Stefano Bonaccini. E non bastano gli appelli dei colleghi governatori di Regione del centrodestra a far accettare una scelta che sarebbe incomprensibile. Perchè non è una questione di appartenenza politica, di Governo di destra o di sinistra, ma di necessità di cambiare qualcosa in una terra che non cambia dal Dopoguerra ad oggi. E il fatto che Bonaccini stesso si dica stupito dei dubbi del Governo (e ci mancherebbe) sull'affidargli l'incarico lascia ancor più esterefatti, quasi si trattasse di lesa maestà. Il punto è riconoscere che le cose sono andate male, malissimo e chi aveva responsabilità di Governo non può chiamarsi fuori. Per la ricostruzione della Romagna serve una figura nuova, autorevole, politica o tecnica che sia. Ne hanno bisogno in primis i cittadini che di promesse, abbracci a favor di telecamere, passerelle e ospitate in tv, mentre l'acqua marcia e infetta ancora invade le loro case, non ne possono proprio più.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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