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Schlein, ora nel Pd tutti l'attendono al varco

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Preoccupati che il Pd della Schlein diventi un partito radical-chic, demagogico, populista ed assistenzialista, più attento ai diritti civili che al lavoro


Schlein, ora nel Pd tutti l'attendono al varco
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C’è un silenzio preoccupato all’interno del Pd  dopo la elezione di Elly Schlein alla segreteria. E questo al di là della soddisfazione espressa (anche da Bonaccini) che è solo di facciata per compiacere stampa e iscritti.

Le preoccupazioni sono dell’ala riformista del partito, quella che è stata al governo negli ultimi dieci anni, da Renzi e Gentiloni fino a Letta,  che ha avviato e sperimentato una collaborazione, dimostratasi utile al Paese, con il mondo imprenditoriale, specialmente qui in Emilia. E appena l’altra settimana, ad esempio, il presidente della Regione Bonaccini, l’avversario della Schlein, è volato in America (anche se il suo ufficio stampa ha cercato di tenere sotto traccia la notizia), con una delegazione di importanti industriali privati e pubblici per cercare accordi economici con l’industria americana dello spazio. Mai alla Schlein verrebbe in mente una cosa del genere anche se è una italo-americana con genitori docenti universitari proprio a New York.

 

I vari leader dell’ala riformista come Bonaccini e i sindaci di Bergamo Gori, Lo Russo di Torino, De Caro di Bari, Ricci di Pesaro, Nardella di Firenze, Gualtieri di Roma, sono giustamente preoccupati per l’annunciata svolta estremista e radicale della nuova segreteria, che prevede accordi elettorali con Conte e i 5Stelle, con una visione marxista-leninista del potere, opposta a quella seguita dal Pd di Veltroni per finire a quello di Letta, Bonaccini e soci che sono, per esperienza vissuta, contrari ad una deriva demagogica e populista, tardo sessantottina del loro partito, che lo condannerebbe a restare definitivamente in minoranza come è avvenuto in Francia per il massimalista Malenchon e in Inghilterra con Corbin.

E infatti si sono avute immediatamente le reazioni negative e contrarie dell’ala cattolica del Pd (almeno dei dirigenti più coraggiosi nel fare sapere il loro dissenso) quella di Beppe Fioroni, ex leader della Margherita, di Graziano Del Rio, di Andrea Marcucci, di Rosy Bindi, dell’ex ministro Guerini, di Silvia Costa, ma anche dell’indipendente Cottarelli ed altri, tra cui l’assessore regionale emiliano Felicori. E pure a Modena si è avuto un sussulto di orgoglio della componente ex Margherita avvenuto nel corso di un recente convegno dell’ala cattolica a Palazzo Europa. 'Avere sciolto Ds e Margherita per diventare gregari di Conte, mi pare ridicolo – ha tuonato Fioroni -. Se siamo diventati ospiti sgraditi nel Pd, che lo so dica. Troppi  nostri dirigenti vengono messi da parte o non votati  in ogni provincia  e per questo non ci sentiamo più a casa nostra'.

Parole durissime seguite da quelle di altri dirigenti ex Margherita preoccupati che il Pd della Schlein diventi un partito radical-chic, demagogico, populista ed assistenzialista, più attento ai diritti civili che a quelli del lavoro e della difesa dei più deboli, timido e diviso sul sostegno all’Ucraina e spaccato sui termovalorizzatori, fautore di un ambientalismo ideologico, difensore del reddito di cittadinanza (per fare concorrenza ai 5Stelle) nel quale la faranno da padroni i suoi fedelissimi come Boccia, Fratoianni, Bersani, Speranza, Zan, Provenzano, Boldrini, D’Alema, col trionfo di proposte come quella della maternità surrogata, definita negli ambienti cattolici ‘la mercificazione del corpo femminile’ e della liberalizzazione delle droghe leggere.

D’altra parte molti osservatori politici hanno definito la Schlein “tipico rappresentante della classe  medio-alta, cittadinanza americana, naturalizzata svizzera, poliglotta, dunque molto urbanizzata e molto  legata al  jet-set, lesbica e bisessuale (come si è definita lei stessa), figlia di un ebreo aschenazita americano e di una madre italiana, entrambi docenti universitari a New York, con una sorella  diplomatica italiana all’ambasciata di Atene. E lei rigorosamente anti-israeliana e filo palestinese”.
Se c’era insomma un candidato divisivo nella corsa alla segreteria, dopo la fallimentare gestione Letta, questo è parso proprio essere e sin dall’inizio  Elly Schlein, definita sarcasticamente 'un prodotto del laboratorio radical-chic della sinistra di potere, governativo e degli enti di Stato e della grande finanza internazionale che ha scambiato i diritti sociali con quelli civili, non seguendo i secondi e dimenticandosi dei primi'.

Essa entrò nel Pd di  Veltroni, poi affiancò Civati e, infine, passò con  Renzi, uscendone poi sbattendo la porta e rientrandovi  due mesi fa alla vigilia del congresso. E in televisione si è definita  'femminista, bisessuale, ecologista, pro Lgbtq e favorevole allo jus soli, allo jus schole e alla pillola abortiva'. Non pare abituata (come è stato scritto) a frequentazioni proletarie non essendo mai entrata in un centro sociale, in una casa popolare, in una fabbrica. E pare non avere mai avuto problemi economici o come affrontare l’aumento del costo della vita.

Ecco perchè nel Pd tutti l’attendono al varco per capire come si muoverà  tra i gruppi esistenti e sulla necessità di dare spazio alle componenti che non l’hanno votata, come Bonaccini e i suoi sostenitori e alla componente cattolica della Margherita.

Ma al seguito della italo-svizzera-americana (con tre passaporti in tasca) si sono immediatamente allineati tutti in coro i ‘condottieri’ dei salotti televisivi pubblici e privati come Fazio, Gramellini, Gruber, Berlinguer, Giannini, Formigli, Floris, Telese, Padellaro, Scanzi, Polito, Travaglio, Damilano, Mineo, Annunziata, Di Bella, Lerner, Caprarica, il capo delle sardine Sartori e i milionari  Soros e De Benedetti.  Ma, in contrapposizione a questo coro ipocrita, vi è stato il commento anticonformista di Ritanna Armeni, donna da sempre di sinistra e per anni al ‘Manifesto’: 'Chi sia, cosa voglia fare e dove voglia andare non  mi è chiaro anche se penso che per rifare un partito di sinistra non ne ha le basi sociali perchè non si è fatta le ossa qui e ha sbagliato quando alla domanda se era stata comunista, ha risposto dicendo di essere nata nel 1958. Si può prendere le distanze da quella esperienza ma non cancellare quella storia. Cosi come sbaglia quando urla contro la Meloni, che ha invece rotto un  tabù: la prima donna premier in Italia che è, per giunta, di destra e non di sinistra e su questo sarebbe bene riflettere'.

Cesare Pradella

Cesare Pradella
Cesare Pradella

Giornalista pubblicista, è stato per dieci anni corrispondente da Modena del Giornale diretto da Indro Montanelli, per vent'anni corrispondente da Carpi del Resto del Carlino, per cinque..   Continua >>


 

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