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Scrivere di mafia, o comunque contro il potere, costa, anche in Emilia-Romagna. I dati diffusi da Giuseppe Federico Mennella, docente di Etica del giornalismo all'Università di Tor Vergata e segretario dell'Associazione Ossigeno per l'informazione nel corso del seminario di formazione organizzato lunedì alla facoltà di giurisprudenza dell'Unimore, tratteggiano una realtà difficile da immaginare, anche in tempi come questi, dove la fotografia del radicamento mafioso sul territorio emiliano-romagnolo è emersa in tutta la sua drammaticità, prima nei dossier e poi nel processo Aemilia, in corso a Reggio Emilia.
Si è detto, ma è bene ripeterlo: anche la minaccia di querela (facile anche da notificare, con nessuna conseguenza per chi la produce anche se questa si dimostrerà infondata), può essere strumento potente per limitare la libertà di un giornalista, soprattutto quando si tratta di free-lance o pagati 'a pezzo'.
Una forma di intimidazione che è sempre esistita ma che, con la moltiplicazione dei canali informativi, è sempre più diffusa. Oggi, soprattutto nelle realtà di provincia, dove i giornalisti sono più 'piccoli', perché legati a testate locali e indipendenti (ricordiamo che la più grave aggressione fisica Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta, l'ha ricevuta a seguito degli articoli apparsi non su testate affermate, per le quali ha lavorato, ma sulla testata on-line personale laspia.it), e potenzialmente più soli e meno coperti nel caso di minacce ed intimidazioni.
Una realtà che ora non ha più confini e che in Emilia Romagna inquadra dati che fanno pensare: nel 2016 sono stati 20 (in aumento rispetto ai 12 nel 2015), i giornalisti minacciati, su un dato nazionale che ne conta 412. Ovvero, il 4,8% del totale.
Di questi 20, sono 3 ad avere ricevuto aggressioni fisiche, 5 ad avere ricevuto avvertimenti e 12, la percentuale maggiore (pari al 60%), ad essere stati oggetto di denunce ed azioni legali. E l'assenza di danneggiamenti non è un dato positivo. Perché è indice e simbolo di una intimidazione che, come nelle azioni dei clan, si è spostata nelle zone del nor-Italia dal piano delle azioni ecclatanti e visibili in una dimensione pubblica (incendi e danneggiamenti appunto), ad un piano più sottile, psicologico e comunque in una dimensione personale. Capace di rimanere relegata al di fuori della sfera pubblica. Capace di generare quel senso di solitudine della persona oggetto di intimidazioni, anche solo a livello di avvertimento, che dà forza proprio a chi vuole colpire per zittire.
Gianni Galeotti