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L’ultima tappa in ordine di tempo dell'attuale collettiva e sguaiata corsa da fine impero è rappresentata dal dibattito sulla pubblicità targata Esselunga. La pesca donata al padre dalla bambina che soffre per la separazione dei genitori, diventa terreno di scontro tra i nuovi Guelfi e Ghibellini. Sulle note decadenti del tramonto della modernità si affrontano sinistra e destra, ormai accomunate da una identica visione economica e sociale ma divise (per rispetto del teatrino pubblico) solo sui cosiddetti diritti civili. Per i sedicenti progressisti del pensiero unico la pesca della bambina rappresenta il reazionario tentativo di salvare la famiglia tradizionale, vista come vecchio orpello da tempo ormai messo in soffitta in attesa di essere raggiunto anche dalla identità di genere. Insomma una pesca che, per costoro, non è altro che la declinazione in chiave moderna della mela di Eva, inciampo verso un sol dell’Avvenire fatto di esaltante fluidità e genitorialità da supermercato.
Per i duri e puri del Dio, patria e famiglia invece lo spot è la catarsi del, da troppo tempo, non detto, il sublime salvataggio del pilastro della società umana messo in atto da una bambina, un po’ generale Vannacci in gonnella, un po’ novella Atreyu di una storia senza inizio e senza fine. La famiglia fatta di papà e mamma e figli sullo sfondo del Mulino Bianco, salvata in extremis non dalla Chiesa il cui faro si è da tempo spento nel mare del relativismo, bensì da una pesca dolce e succosa. E poco importa che chi esalta cotanta istituzione familiare sia sposato almeno un paio di volte, oppure mai nonostante si sia abbandonatamente riprodotto.
In mezzo a questo spensierato dibattito a colpi di ‘meglio due genitori divorziati che due genitori in guerra’ e di ‘non osi l’uomo dividere ciò che Dio ha unito’, ci stanno le famiglie vere. Quelle che tirano avanti nonostante Esselunga e nonostante l'invidia di Coop per uno spot così discusso, nonostante gli emoticon del Capitano e nonostante le bordate arcobaleno. Le famiglie che stanno insieme per desiderio, quelle che non si sfasciano per non finire sul lastrico e quelle che si arrendono con dolore al proprio fallimento, ma che si guardano bene dall’elevare un fallimento a una vittoria in nome del progresso.
Giuseppe Leonelli
Redazione Pressa
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