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Mentre Modena è ancora aggrappata al ricordo dell'irripetibile Modena Park, oltre al quale non esiste prospettiva e visione, a Reggio Emilia si sta non solo disegnando, ma anche realizzando, un altro pezzo della nuova città. Quello del rinnovato parco del Campovolo, che accompagnerà la rinascita urbanistica della nascente arena della musica. n progetto strutturato, per ospitare grandi eventi, con continuità, già abbozzato proprio ai tempi del Modena Park. E che oggi sta diventando realtà.
Un progetto, quello della maxi-arena di Reggio Emilia, che al di là della capienza mostra una visione di prospettiva e di sistema. Che Modena non ha, o non ha più, da almeno 20 anni.
In campo infrastrutturale (vedi le scelte che hanno portato lontano dal centro l'alta velocità dalla quale Modena, a differenza di Reggio Emilia, è stata esclusa), dall'uso degli spazi (si veda il naufragio del Piano di riqualificazione della fascia ferroviaria del 1999 lasciato indietro per il 70% e che stenta tutt'oggi a decollare nonostante l'inserimento, nello specifico dell'area del mercato bestiame nel Piano Periferie) dell'area dove doveva sorgere il polo funzionale di Cittanova 2000, o dal quartiere fieristico stesso che a Reggio è stato in parte riconvertito, nei tempi 'morti' ad ospitare spettacoli musicali e teatrali al coperto), allo sviluppo dei servizi (si provi oggi a raggiungere il tribunale di Reggio Emilia e quello di Modena). Solo qualche esempio.
Modena, spesso capace quando di essere protagonista, pur in maniera geniale perché quasi estemporanea, di grandi cose, addirittura di capolavori, difetta da molti, troppi anni, a livello di governance, di una visione di sviluppo, di una programmazione concreta e di insieme e, appunto, di prospettiva e di respiro internazionale. A quel livello internazionale che Modena merita. Per ciò che è e per ciò che ha. Per la sua storia, per la sua tradizione. Cose belle, cose buone e cose grandi, che hanno solo bisogno di essere valorizzate, non solo nello spazio di una sera o di un evento che anche se di tre giorni, con rumori rombanti rimane limitato a quello. Nuovamente. Perché Modena quei tempi in cui fare sistema e pensare in grande in maniera continuativa, li ha conosciuti. Eccome. Fino alla fine degli anni 80 è stato così.
Perché dopo, e la fotografia dell'oggi lo dimostra, quella visione si è persa e si è proceduto (o non proceduto), a macchia di leopardo con mega-progetti naufragati (la lista è nota quanto lunga), perché non inseriti in una visione di insieme. Dagli spazi urbani non riqualificati e scuciti da decenni dal contesto urbano, fino ad arrivare allo stesso Parco Ferrari, soprattutto e proprio nella parte che ha ospitato il concerto dei record, o al contenitore pieno di investimenti ma vuoto di identità e di prospettiva quale è il S.Agostino. Un grande mosaico dove i pezzi, a differenza di quelli che hanno realizzato in una notte l'immagine del successo del Modena Park, in parte sono anneriti, in parte sbiaditi. Al punto che in nessuno di questi trova ancora, dopo 20 anni, spazio e definizione nemmeno un luogo per ricordare, e tantomeno ospitare, un omaggio degno per Pavarotti.
In questa ottica si sono persi 20 anni. Anzi, di più. E da questa consapevolezza Modena e chi la amministra doveva ripartire. Muzzarelli aveva l'occasione per farlo, dal giorno dopo al Modena Park, per dare quella svolta e davvero quella marcia in più capace di invertire la rotta. Pensando a qualcosa di più strutturato e di lungo periodo per l'utilizzo per esempio del Parco Ferrari per grandi eventi. Non lo ha fatto, ma ha vinto le elezioni e, ne siamo certi, continuerà a (non) farlo. Continuando a dovere ricordare con nostalgiche quanto estemporanee notti gialle il concerto si dei dei record ma finito quella sera, lasciando dietro ma soprattutto davanti quel vuoto che città come Reggio (anche grazie all'alta velocità che gli amministratori che ancora governano Modena hanno volutamente allontanato dal capoluogo con il tracciato nord), hanno saputo colmare. Con una visione d'insieme capace di volare un po più alto, di cui Modena è rimasta da troppo tempo, orfana.
Gianni Galeotti