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Si può, nella città che si fa (giustamente) vanto di avere istituito decine di gruppi per il controllo di vicinato, uno o più per ogni quartiere (in certi casi per vie o gruppi di vie), morire di degrado, solitudine ed abbandono, in aree residenziali e densamente popolate? Nell'indifferenza o nella distrazione dello stesso vicinato? Del proprio dirimpettaio? E' possibile sentirsi e dichiararsi partecipi, attivi, consapevoli, vedette e controllori della propria strada, del proprio condominio, del proprio isolato, di ciò che sta al di là del proprio cortile, stando attenti che nessuno abbandoni la cacca del cane sul nostro marciapiede, e poi non accorgerci che il nostro vicino, che più volte magari abbiamo riscontrato malcelare la sua difficoltà, è morto a pochi metri da noi? Non si sente più? Non si incrocia più? Da giorni? Magari da settimane? Non accorgersi che è morto? In solitudine? Nel degrado? Nell'abbandono? E' possibile vedere che dentro la casa non abitata della proprietà a fianco alla nostra, c'è qualcuno che entra, di nascosto, abusivamente, ogni notte.
E ci vive, e non dire nulla? Non segnalare nulla? Non tendere una mano? Non interessarsene? Non chiamare chi, forse, è interessato a lui? Anche solo perchè pagato per farlo? La risposta è si.
Nella città che vanta record numerici nelle persone coinvolte nel cosiddetto 'controllo di vicinato', tre persone sono morte, in due giorni, in due diversi contesti urbani e densamente popolati. Senza che nessuno si accorgesse di nulla. Nulla. Morire di solitudine, di abbandono, di degrado, di depressione non capìta, non vista, o rimossa, anche dai parenti, se ci sono, che porta al lasciarsi andare fino allo sprofondare nella morte. Che non ha un perché e che allo stesso tempo ha tutti i perché del mondo. Morire, da soli, in un mondo affollato. Divisi da un muro, lo stesso dell'appartamento del vicino, magari una tramezza che ti fa ascoltare, anche se non lo vuoi, il fastidioso audio del suo televisore.
Dove scorre Sanremo, dove scorre la vita è bella. Tanto vicino fisicamente quanto lontano umanamente. Anni luce. Incolmabili anche se lunghi solo quanto due passi. Dove lui, il tuo vicino, ascolta tutto, tranne che il tuo silenzio.
Mamma e figlio morti, insieme, in via Tamburini, nel degrado, nel silenzio, ma soprattutto quel giovane uomo, ancora senza identità, che nessuno ha mai cercato e forse nessuno cercherà, trovato morto in via Lippi, nell'indifferenza. Anche di coloro che abbiamo visto però affacciarsi alla finestra, o dal cortile vicino, al nostro arrivo e a quallo dei Carabinieri. Morto nell'indifferenza che si riserva agli esseri invisibili, come un ombra sfumata che ci fa paura e voltare la testa dall'altra parte. Invisibile anche anche a chi lo aveva visto e minacciato con una scritta, sul muro, a fianco del suo povero giaciglio. Considerato solo per dirgli di andarsene. Perché scomodo, perché capace di rappresentare la nostra indifferenza. E comodo per sfogare il nostro egoismo, vigliaccamente, lasciandogli scritto 'te ne devi andare'. Sul muro. Quando lui non c'è, nella consapevolezza che tornerà. Fatti che indicano, senza retorica, che qualcosa, dentro di noi e nella rete di relazioni e di controlli che ci vantiamo di avere costruito, davvero non funziona. In essa qualcosa si è rotto. O forse ci raccontiamo si sia rotto per nascondere e rimuovere l'insostenibile consapevolezza di non averlo, quel ponte individuale, intimo ed umano verso l'altro, mai davvero costruito. E forse, nella sua bellezza, nemmeno immaginato.
Gi.Ga.