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L'obiettivo di portare al ballottaggio la corazzata Pd-5Stelle-Azione è quantomeno ambizioso, eppure il candidato del centrodestra a Modena ce la sta mettendo tutta. Luca Negrini, lanciato come il ragazzo di bottega pronto a immolarsi per la causa, si è sbarazzato in breve tempo delle vesti di agnello sacrificale e col passare delle settimane è divenuto il vero (e forse unico) traino della coalizione.
La genesi della sua candidatura a sindaco è nota: Fratelli d'Italia dopo aver fallito nella ricerca di un candidato civico (il nome di Paolo Cavicchioli è stato sbandierato a lungo ma non è mai stato della partita) e dopo aver rinunciato a un dialogo coi centristi di Azione, si è ritrovato a 4 mesi da un voto, sulla carta occasione storica per scardinare 80 anni di sistema di potere modenese, senza rete e senza uomo-donna di punta.
Una strategia ben diversa da quella sviluppata in altre province emiliane sotto la guida di Galeazzo Bignami, ma al di là della consapevolezza o meno con cui si è giunti a questo punto, a Modena il centrodestra si è ritrovato a febbraio in un vicolo cieco. Così, dopo la fumata nera tra il senatore Barcaiuolo e il leader della Dc Samorì sul nome della dottoressa Modena (sul cui profilo si era tenuto anche un vertice a tre negli studi dell'avvocato), per Fdi non era rimasta che la strada di un candidato di bandiera.
Sui tre nomi in campo, Piergiulio Giacobazzi solido e apprezzato leader di Forza Italia, Elisa Rossini capogruppo di Fdi uscente e Luca Negrini, il partito ha deciso a sorpresa di puntare su quello con meno esperienza. La lettura appariva chiara: scommettere su un profilo giovane, teoricamente incapace di adombrare le leadership esistenti e, con l'aggiunta, con discrete capacità economiche per sostenere la campagna elettorale.
Una campagna elettorale da spostare poi tutta sulle Europee e sulla caccia alle preferenze per Cavedagna per il quale il partito regionale ha chiesto a Modena un obiettivo da Monte Everest.
Ma le cose non sono andate esattamente come pianificato. Una volta ottenuta l'investitura a candidato sindaco, Negrini si è dimostrato tutt'altro che schiacciato sulle logiche meloniane. Spiazzando gli stessi vertici di Fratelli d'Italia, si è preso sulle spalle l'intera coalizione, ha cercato di mediare le tante contraddizioni interne, ha puntato a una tregua con l'avversario interno leghista e con Forza Italia, e si è mosso nel contesto modenese non col profilo dell'uomo di partito, ma con quello dell'imprenditore prestato alla politica. Spenta in un baule in soffitta la fiamma tricolore, Negrini ha deciso di correre con al fianco l'esponente meno 'di destra' di Fdi, l'avvocato Daniela Dondi, e ha iniziato, con un entusiasmo finanche ingenuo, a incontrare mondi storicamente distanti dal ristrettissimo cortile meloniano modenese. Si spiegano così i vertici con i presidenti delle polisportive, l'incontro alla Cgil, la partecipazione alla festa di piazza Grande il primo maggio. Nessun attacco diretto all'avversario, piuttosto fiducia nei propri mezzi e nella propria proposta. La propria, non quella del partito.
Un atteggiamento che ha iniziato a preoccupare anche il centrosinistra che, dal canto suo, a Modena in campagna elettorale ha sempre usato lo spauracchio 'fascista'. Così, complice anche lo stile diverso, refrattario alle stantie dinamiche Dem e aperto al confronto di Massimo Mezzetti, si è giunti a un duello inaspettatamente alla pari. Da una parte Mezzetti, candidato che rappresenta certo la continuità col sistema di potere, ma dall'alto profilo culturale e visibilmente insofferente rispetto alle storture degli ultimi 10 anni di governo Muzzarelli, dall'altro Negrini, giovane candidato che, con entusiasmo, non si rassegna alle ferree logiche dell'aritmetica e che immagina, anche a dispetto di Fdi, uno storico ribaltone. Due uomini diversi, ma entrambi distanti dai carrozzoni politici che li hanno chiamati a scendere in campo.
Giuseppe Leonelli