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Oggi in pieno centro, nella civilissima ed accogliente città di Modena, sono stato “puntato” da due extracomunitari nord africani, verosimilmente marocchini. Dopo essersi avvicinati mi hanno gentilmente sputato davanti ai piedi dicendomi: ebreo! Vero che per l’aspetto e per il mio DNA che ho fatto analizzare da un autorevole laboratorio, non sono di “razza ariana” anche se ho una buona percentuale di DNA inglese, ma, spiacente per loro, non sono Ebreo. Se lo fossi ne sarei comunque orgoglioso. Ma il punto è un altro. Ho negli anni aiutato tantissimi immigrati, senza alcuna distinzione, ho sempre avuto un atteggiamento aperto, ho imparato a conoscere diverse culture, ne ho compreso i bisogni e condiviso le loro aspirazioni ad una vita migliore e quindi mi chiedo: perché un simile disprezzo? Detesto quando extracomunitari mi si avvicinano appellandomi “capo”, più volte ho cercato loro di spiegare che non sono “capo“ a nessuno, ho sempre cercato di pormi nei loro panni piuttosto che chiudermi in un egoismo che è di tanti.
Oggi mi interrogo. Continuerò a essere quello che sono, a fare ciò che ho sempre fatto, perché Qualcuno mi ha insegnato ad “amare” anche i miei nemici? Ma sono anche un essere umano con tutte le sue debolezze e oggi avrei volentieri reagito con violenza. Non l’ho fatto perché mi ritengo un essere umano razionale, ma capirei chi diversamente da me avesse reagito. La domanda è: fino a che punto si spinge la sopportazione che non è buonismo fine a se stesso, quanto esercizio razionale che rende l’essere umano degno di considerarsi tale? Il razzismo non è morto, non è un qualcosa di passato, si manifesta in forme diverse, apparentemente trascurabili, ma c’è. E allora? Ci vuole pazienza che però non è rassegnazione, occorre reagire civilmente anche se, come diceva San Benedetto nella Sua Regola, dopo avere richiamato e più volte richiamato il fratello ad emendarsi, se non lo fa, si deve ricorrere alle battiture.
Non violenza fine a se stessa, ma, come dice anche la Bibbia: “cattivo è il padre che lesina il bastone al figlio” e quindi, applicandolo sulle parti molli, diviene salutare medicina. Il “bastone” non va ovviamente inteso solo come tale, ma sotto forma di rigore, richiamo al rispetto delle regole, educazione. Certo costa, certo non ci si vorrebbe mai ricorrere, ma a volte non agire di conseguenza è peggior cosa. Poi certamente qualcuno storcerò il naso a queste mie parole, libero di farlo, ma forse non sa quanto sacrificio costi l’esercizio della tolleranza.
Giuseppe Bellei Mussini
Redazione Pressa
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