Non è lo Stato di diritto a essere sotto attacco, ma la sua efficacia
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Non è lo Stato di diritto a essere sotto attacco, ma la sua efficacia

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Uno Stato che non riesce a garantire certezza della pena, controllo dei servizi pubblici, efficacia degli interventi sociali, viene percepito come assente


Non è lo Stato di diritto a essere sotto attacco, ma la sua efficacia
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Gentile Direttore, ho letto con interesse e rispetto l’intervento di Guido Sola intitolato “L’importanza dello stato di diritto e il concetto (sbagliato) di pena esemplare”. L’articolo tocca temi cruciali: la dignità della legge, il ruolo della prevenzione, il rischio di derive giustizialiste. Eppure, da cittadino che vive la realtà urbana, sento il dovere di offrire un punto di vista complementare, radicato nei fatti e non nella teoria. Non è lo Stato di diritto a essere sotto attacco, ma la sua efficacia.
Lo Stato di diritto — e su questo concordo pienamente con l’autore — è presidio fondamentale di civiltà. Tuttavia, uno Stato che non riesce a garantire certezza della pena, controllo dei servizi pubblici, efficacia degli interventi sociali, finisce per essere percepito non come garante, ma come assente.

Oggi i cittadini non invocano “vendetta” né “pene esemplari” nel senso emotivo del termine. Chiedono che chi spaccia, aggredisce, molesta, distrugge la convivenza non possa farlo impunemente e sistematicamente. Chiedono che le strutture di accoglienza non siano zone franche, dove minori vulnerabili (o peggio, strumentalizzati) vivano senza regole, né educazione, né conseguenze. Prevenzione e punizione non sono alternative: sono alleate.
L’autore disegna una netta distinzione tra prevenire e punire, come se fossero due mondi opposti. Ma la realtà non è un convegno accademico: una prevenzione che non è supportata da una sanzione certa è un invito a delinquere. Punizione proporzionata, rapida, inevitabile non è giustizialismo. È educazione civica applicata. Nel contesto attuale, fatto di baby gang, aggressioni gratuite, spaccio dilagante tra minorenni, l’assenza di conseguenze tangibili non è solo un problema morale: è un errore strategico. Eppure rivoluzionario, oggi.
Accoglienza: non un dogma, ma un contratto con la comunità Il cuore del problema? Che molti servizi sociali — accoglienza in primis — non rispondono a nessuno. Funzionano a scatola chiusa, senza numeri pubblici, senza obiettivi, senza controlli efficaci. E allora ben venga un modello chiaro, fondato su: indicatori misurabili (frequenza scolastica, tasso di recidiva, inserimenti lavorativi), dashboard online pubbliche e trasparenti, ispezioni a sorpresa (sì, come nei ristoranti o nelle RSA), premi a chi lavora bene, e sanzioni per chi fallisce due volte.
Chi prende soldi pubblici per accogliere ha il dovere di rendere conto perché “I centesimi non cadono dal cielo, ma devono essere guadagnati qui sulla terra”. Vale per i cittadini. Vale per chi gestisce strutture. Vale per lo Stato. Conclusione? Basta slogan. Vogliamo cose che funzionano. Nessuno vuole “buttare via la chiave” ma neanche lasciar correre tutto in nome di un garantismo astratto, mentre fuori le cose vanno a rotoli. Lo Stato di diritto è forte non quando predica, ma quando funziona: educa, integra, corregge. E lo fa non con parole, ma con trasparenza, numeri e responsabilità. Più che di “pena esemplare”, oggi servono regole chiare, conseguenze vere e zero zone grigie. Oppure, come già fu detto: fate attenzione ai vostri pensieri, perché diventeranno azioni. Fate attenzione alle vostre azioni, perché diventeranno abitudini. Attenti alle abitudini, perché formeranno il vostro carattere. E fate attenzione al vostro carattere... perché diventerà il vostro destino. Con viva cordialità.
Un cittadino che ha smesso di credere alle buone intenzioni, e pretende risultati

Redazione Pressa
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