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Ucraina, l'estremismo guerrafondaio che non ascolta il Papa

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L'esternazione di Macron ha perlomeno avuto il merito di fare cadere l’ultimo velo ipocrita sul coinvolgimento occidentale nel conflitto russo-ucraino


Ucraina, l'estremismo guerrafondaio che non ascolta il Papa
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Le drastiche sanzioni occidentali contro la Russia e le centinaia di miliardi di dollari spesi a sostegno del regime di Kiev, un effetto sono riuscite a conseguirlo: nelle elezioni presidenziali del 15-17 marzo i quattro quinti dei russi si sono recati alle urne per rieleggere trionfalmente Vladimir Putin. Una testimonianza difficilmente contestabile del consenso del paese intorno a chi lo governa. Anche uno come Salvini ha dovuto ammettere che, Putin o non Putin, “quando un popolo vota ha sempre ragione”.

Sul fronte opposto, nonostante gli enormi sforzi occidentali, l’Ucraina è entrata in uno stato precomatoso sul piano militare e politico. Il gelido spettro della sconfitta si sta insinuando in profondità non solo nei palazzi del potere di Bankova, ma anche tra le truppe di prima linea ormai esauste per le perdite subite e sempre più a corto di armi e munizioni.

Dai dati forniti dal vice ministro ucraino della difesa Ivan Gavrylyuk, nei primi tre mesi del 2024 la Russia ha sganciato 3.500 bombe plananti (da 500, 1.000 e 1.500 kg), sedici volte in più dello scorso anno; e inoltre i russi sovrastano gli ucraini nei colpi di artiglieria nel rapporto di 7 a 1. Chi non ha la memoria troppo corta ricorderà che solo fino a poco tempo fa i nostri giornali profetizzavano che Mosca stava esaurendo le ultime scorte di missili e che non era in grado di rimpiazzarli per mancanza di componenti.

Pure il nostro ministro della difesa Crosetto ha riconosciuto che non solo l’Ucraina sta perdendo la guerra ma l’intera coalizione occidentale. Presentato fino a poco tempo fa come un paese economicamente al collasso, la Russia si è adattata, a giudizio di Crosetto, a un’economia di guerra molto meglio di noi, il che “la rende più attrezzata e flessibile nella produzione militare”.

Sempre più incapace di contrastare lo strapotere dell’artiglieria, dei missili e dell’aviazione russe, l’esercito ucraino ha passato la fase critica in cui ogni giorno perde più soldati di quanti riesca a mobilitarne e si calcola che nel giro di qualche mese questo rapporto diventerà irrimediabile (un nuovo mobilitato per quattro persi o smobilitati). Senza contare l’entità enorme delle perdite “irrecuperabili” che pare abbia superato la cifra “monstre” di mezzo milione di uomini.

In risposta ai ripetuti rovesci sul campo di battaglia, Zelensky ha trovato un capro espiatorio nel comandante delle forze armate Valerij Zaluzhny. Considerato la mente più brillante dell’establishment militare ucraino e notoriamente contrario alla testarda strategia presidenziale della “difesa fino all’ultimo uomo”, Zaluzhny è stato bruscamente silurato agli inizi di febbraio e spedito a fare l’ambasciatore a Londra. Una mossa che al presidente ucraino, sempre più debole sia all’interno che all’estero, è servita anche far sparire dalla scena l’avversario potenzialmente più pericoloso in un eventuale duello nelle elezioni presidenziali. Il mandato di Zelensky scade in maggio ma ben difficilmente nella “democratica” Ucraina si svolgeranno le elezioni presidenziali che si sono appena tenute nell’“autocratica” Russia, e con il pretesto della legge marziale è probabile che saranno rinviate sine die.

Al posto di Zaluzhny, il comico diventato presidente ha nominato il generale Oleksandr Syrsky, un russo che aveva servito nell’Armata rossa fino al 1991, e che per le combinazioni del destino casualmente si trovava con la sua unità in Ucraina al momento della dissoluzione dell’URSS. A differenza del suo predecessore, l’ex russo Syrsky è assai poco popolare tra le truppe che gli hanno affibbiato l’indicativo soprannome di “macellaio”. Ma è un uomo assolutamente fedele al presidente e si è dimostrato pronto a eseguire i suoi ordini di difendere strenuamente ogni posizione, a prescindere dalle perdite. Il suo metodo è stato subito applicato nella roccaforte Avdeevka, dove la difesa statica si è tradotta in un nuovo massacro, seguito da una non meno sanguinosa rotta dopo la conquista russa della città a metà febbraio.

Per due anni i governi della NATO hanno rovesciato in Ucraina tutte le armi di cui potevano disporre e molti paesi si trovano ad aver raschiato il fondo del barile dei loro arsenali (la Francia da sola ha consegnato a Kiev il 40 per cento dei propri pezzi di artiglieria), mentre gli americani sono da mesi impantanati nello scontro tra democratici e repubblicani su nuovi invii di soldi e armi, preludio di una campagna elettorale che si annuncia all’ultimo sangue.

A Berlino, a Parigi, passando per Roma e Bruxelles, una classe dirigente imbarazzante, sicuramente la peggiore tra quelle che hanno governato l’Europa dal dopoguerra ad oggi, di fronte al profilarsi della vittoria di Putin è entrata in fibrillazione e non sa più letteralmente che pesci pigliare.

Dal febbraio 2022, le cancellerie europee hanno seguito pedissequamente Sleepy Joe Biden e Boris Johnson nella loro fallace obiettivo d’infliggere alla Russia di una schiacciante sconfitta politica, militare ed economica, mai facendo sentire la loro voce nei momenti cruciali in cui la guerra poteva in extremis essere evitata: una prima volta, nei primi mesi del 2022, al tempo in cui la Russia chiedeva una soluzione politica al contenzioso con l’Ucraina; e una seconda volta nel marzo-aprile 2022, quando la bozza di accordo che era giù stata sottoscritta dal ministro degli esteri russo Lavrov e da Davyd Arakhamia (altro russo diventato ucraino, e capo del partito “servo del popolo” di Zelensky), è stata prontamente stracciata dal veto angloamericano.

A questo punto, buon senso e realismo spingerebbero a fare tesoro delle parole del papa Francesco di “alzare bandiera bianca”, non nel senso di arrendersi ma di aprire un negoziato, per salvare un paese che rischia seriamente la disintegrazione: “È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare”, ha detto il papa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare”.

Invece prendere atto della situazione che si è manifestata sul campo e promuovere l’avvio di trattative prima che sia troppo tardi per l’Ucraina e per il suo popolo, in Europa si parla solo di guerra; in questa escalation verbale, qualcuno si è messo a giocare irresponsabilmente con il fuoco e a spararle sempre più grosse perché “Putin non deve assolutamente vincere”. Prima, attribuendo alla Russia l’inesistente progetto d’invadere addirittura l’Europa, e poi a vaneggiare sull’invio di truppe in Ucraina

A capofila di questo estremismo guerrafondaio si è messo il presidente francese Emanuel Macron. In caduta verticale di consensi nel suo paese (il suo partito Renaissance è dato nei sondaggi al 18 per cento contro il 31 della Le Pen), sconvolto dalla rivolta delle banlieu e dalle proteste di massa di sindacati e agricoltori, il “coniglio mannaro” dell’Eliseo si è detto addirittura pronto a schierare le sue truppe in Ucraina, ossia a compiere un altro passo verso la terza guerra mondiale. Com’era prevedibile, Macron ha raccolto un coro di no tra i suoi alleati, a partire dagli americani. Anche perché non si capisce quali soldati sarebbero in grado di schierare Macron e soci. Un alto generale francese ha commentato amaramente: “contro i russi siamo un esercito di majorettes”, né gli altri paesi sarebbero in grado di fare meglio: in Germania manca quasi il 20 per cento degli effettivi e in Gran Bretagna su cinque nuove reclute ci sono otto soldati che lasciano l’esercito. In alcuni paesi si sta già pensando di arruolare extracomunitari in cambio della cittadinanza. Ci avevano già provato i romani a reclutare i “barbari” ai confini dell’impero, e sappiamo com’è finita.

La “folle” esternazione di Macron ha perlomeno avuto il merito di fare cadere l’ultimo velo ipocrita sul coinvolgimento occidentale nel conflitto russo-ucraino. Perché, anche se politici e media servili fanno finta di niente, da quando le ostilità sono iniziate tutti i paesi della NATO sono, di fatto, in guerra: non solo enormi quantità di denaro sono state sottratte alle necessità vitali dei popoli europei e trasferite con un assegno in bianco a Kiev, ma è un segreto di Pulcinella che migliaia tra mercenari, consiglieri e “specialisti” di vario genere affiancano lo sforzo bellico ucraino e guidano sui bersagli russi i missili di produzione occidentale.

Se qualche anima candida nutriva ancora dei dubbi sul nostro diretto coinvolgimento, ha dovuto ricredersi dopo la clamorosa intercettazione telefonica del 19 febbraio scorso, nella quale alcuni alti ufficiali tedeschi, tra cui il comandante dell’Aeronautica Ingo Gerhartz, discutevano fra loro del possibile utilizzo dei missili da crociera a lungo raggio Taurus - che la Germania stava progettando di inviare in Ucraina - per colpire il ponte di Kerch, che collega la Russia con la Crimea. In Germania è esploso uno scandalo non per il contenuto scandaloso della telefonata, ma solo perché gli ufficiali si erano fatti intercettare. E così, almeno per ora, il cancelliere Scholz è stato costretto a rimettere nel cassetto i Taurus che erano pronti a essere spediti.

Biden, Sunak, Macron, Scholz, Von der Leyen, Meloni (e prima di lei Draghi) pensavano di assistere alla disfatta di Putin comodamente seduti in poltrona a mangiare popcorn, e invece si trovano uno zar forte come non mai e la sua Russia vittoriosa sul campo di battaglia. E ora stanno cominciando a realizzare che la campana presto suonerà più non solo per Zelensky ma pure per loro, perché la vittoria russa segnerà inevitabilmente una “zeitwende”, una svolta epocale negli equilibri mondiali. Quando succederà anche l’opinione pubblica europea, finora apatica e disinteressata, sarà costretta a svegliarsi e a presentare il conto alle classi dirigenti responsabili di questa rovinosa sconfitta e del disastro anche economico che hanno arrecato ai loro paesi.

E allora occorre che la guerra vada ancora avanti “fino all’ultimo ucraino”, perché finchè c’è guerra c’è speranza di sopravvivere. Il senatore repubblicano Lindsey Graham, falco repubblicano, si è precipitato in questi giorni a Kiev per chiedere perentoriamente che nella nuova ondata di mobilitazione venga abolito il limite di 27 anni nel reclutamento obbligatorio: “dovete andare a combattere, non ha nessuna importanza quanti anni avete! Noi abbiamo bisogno di più persone”. Ancora più ucraini devono morire per “noi”, cioè per gli Stati Uniti.

Giovanni Fantozzi

Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi
Giovanni Fantozzi, giornalista e storico. Si occupa della storia modenese e in particolare del periodo della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra. Tra le sue pubblicazioni:
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