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Da Sucre a Buenos Aires, da Caracas a Santiago passando per Bogotà, Quito e Lima, l'instabilità politica è la costante che accomuna quasi tutti gli Stati dell'America Latina.
Nelle ultime settimane abbiamo notato come l'applicazione di politiche fiscali restrittive hanno fatto insorgere migliaia di cittadini che, con la loro protesta, hanno fatto tremare i governi dell'Ecuador e del Cile. In entrambe le realtà, la maggioranza dei manifestati proveniva dalle periferie ormai abbandonate dai rispettivi governi centrali.
Laddove ci sono state delle elezioni non sono mancate le tensioni. Dopo la conferma dell'ennesimo mandato di Evo Morales, il quale per vincere ha dovuto sospendere il conteggio alle urne mentre cercava il 10% dei voti mancanti per superare il suo avversario, il Peronismo è tornato più vivo che mai in Argentina.
In nessuno dei due Paesi si può parlare di un governo di tutti e per tutti, ma di una crescente polarizzazione attraverso la quale chi detiene il potere dell'esecutivo cerca di annientare il proprio avversario. In questo gioco di 'gangs', alcuni sono più aggressivi degli altri, ad esempio, Macri non ha mai attaccato i peronisti con la scorrettezza con cui questi ultimi hanno cercato di delegittimarlo e proprio per questo ha perso le elezioni. Mesa - oppositore di Morales - non ha il tribunale né l'esercito sotto di lui e per tale motivo, pur essendo stato più votato, non sarà presidente. Il risultato, come accade spesso in un contesto politico così conflittuale, è la polarizzazione: nemica dello sviluppo di queste Nazioni.
Qualche mese fa
Proseguendo nello stesso argomento ma tornando indietro di qualche mese, vediamo come le tensioni si sono concentrate tutte quante nel Venezuela dove il Regime di Maduro si è trasformato nell'Oligarchia che diceva di combattere portando alla scomparsa del ceto medio e rendendo i poveri più poveri. L'ultimo tentativo di tornare alla democrazia è stato quello di Guaidò, il quale voleva rivendicare la centralità del Parlamento e della costituzione in uno Stato nel quale contano solo i vertici militari e dove i civili sono costretti ad armarsi più di questi ultimi per contare un qualcosa. In altre parole, il tentativo di Guaidò si è arenato in un Paese senza istituzioni e senza Stato di Diritto.
Un tentativo simile è stato fatto dal Parlamento peruviano, il cui presidente si è proclamato anche Presidente della Repubblica, svelando il malessere trasversale di buona parte dei Parlamenti latinoamericani ormai depotenziati di fronte alle prerogative dell'esecutivo.
E mentre in Perù si cerca di combattere la disuguaglianza, si stima che entro la fine dell'anno i venezuelani che scappano dall'uguaglianza verso il basso imposta dopo 20 anni 'revoluciòn' saranno 8.000.000. L'esodo venezuelano a sua volta, contribuisce a destabilizzare le altre realtà del continente innescando degli episodi di xenofobia negli Stati di accoglienza.
CI sono crisi e crisi
Qui si vedono le differenze tra uno Stato e l'altro. Ci sono crisi e CRISI. La disuguaglianza che colpisce il Perù, il Cile e l'Ecuador non può più essere ignorata; ma l'uguaglianza nella miseria imposta dalle dittature in Venezuela, Cuba e Nicaragua non può rappresentare una soluzione.
Come affrontare il problema?
Anziché fare rivoluzioni e contro-rivoluzioni, per affrontare il problema dell'America Latina dovremmo ripartire dalle Periferie che fino a questo momento sono state usate come serbatoio elettorale dei populismi (sia a destra che a sinistra), i quali fanno leva sul malessere sociale senza però combattere l'origine della povertà e della disuguaglianza.
Precisamente loro sono i meno interessati a risolvere le cose dato che senza ingiustizia sociale non ci sarebbe fuoco sul quale gettare benzina, senza povertà estrema non ci sarebbe clientelismo e senza baraccopoli saprebbero dove andare a comprare i voti.
Si riparta dalle periferie
In altre parole, chiunque voglia risolvere il problema dell'instabilità politica in America Latina dovrà buttarsi a capofitto in quelle periferie cariche di violenza, povertà e sopraffazione nelle quali nascono e vivono milioni di persone condannate ad apprezzare da lontano il benessere di pochi.
Proprio in quei luoghi, dove non esistono le pari opportunità né i diritti umani, molte persone hanno la vita già segnata dalla precarietà dell'ambiente che li circonda. E mentre alcuni riescono ad andare via, superando tutti gli ostacoli inerenti a un processo di 'selezione naturale' nel quale scalare da un ceto all'altro rappresenta un miracolo, la stragrande maggioranza rimane condannata all'attesa di un ascensore sociale che si è rotto; e che nessuno ha mai voluto riparare.
Estefano Tamburrini