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Questa mattina, guardandomi allo specchio con la faccia insaponata e il rasoio in mano, mi son detto: come mi sentirei al posto di Salvini? Probabilmente mi darei una pacca sulla spalla e direi: “Sei stato proprio un bischero!”. Matteo Renzi, sentendo un’espressione appartenente al suo idioma, si materializzerebbe alle mie spalle, regalandomi un sorriso cinico e divertito. Ma andiamo per ordine.
L’incontro a Palazzo Chigi
Dopo quattro ore di confronto serrato a Palazzo Chigi, il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle paiono ormai ad un passo dall’accordo per costituire una nuova maggioranza ed estromettere il Carroccio dall’esecutivo. Nel tardo pomeriggio trapela che ci siano ostacoli sulla finanziaria e qualche ombra aleggia ancora sul nome di Conte, quale Presidente del Consiglio (in serata, Di Maio strapperà il sì) ma il più sembra fatto.
Zingaretti resterà alla Regione, non entrerà a far parte del Governo, dichiarano fonti Dem, e questo è presentato come un tassello certo nella composizione del complesso mosaico.
Che ormai Pd e grillini siano ad un passo dal firmare l’accordo è testimoniato dalla dichiarazione del Segretario Pd davanti all’entrata del Nazareno e dopo il primo incontro pomeridiano: “Credo che siamo sulla strada giusta. Avevamo chiesto che si partisse su idee e contenuti e stasera continueremo ad approfondire, sono ottimista”. Il pensiero dei Democratici era già chiaro dalla dichiarazione di Zingaretti prima dell’incontro: “Sono e rimango convinto che serva un governo per questo Paese, un governo di svolta. Voglio difendere l’Italia dai rischi che corre, che vuol dire anche difendere le idee, la dignità i valori e la forza del Pd.
Bisogna ascoltarsi a vicenda, le ragioni degli uni e degli altri e mi auguro che nelle prossime ore ci sia la possibilità di farlo, finora non è avvenuto. Servono elementi di discontinuità sia sui contenuti sia su una squadra da costruire”. Marcucci, interrogato sull’ipotesi di confermare Conte a capo dell’esecutivo, ha risposto: “Non ci sono veti, vogliamo parlare di contenuti”. Si è fatto sentire anche Matteo Renzi, il “deus ex machina” di questa possibile intesa, che così ha scritto nella sua e-news: “Adesso la crisi di governo è nelle mani dei segretari di partito. Io, come tutti, auspico che prevalgano la saggezza e la responsabilità, da parte di tutti. Dire ‘prima gli italiani’ oggi significa dire: mettiamo a posto i conti e garantiamo un governo”. Risponde Salvini schiumando rabbia, avendo compreso che il tentativo di ricucire è stato respinto al mittente: “Vince il partito delle poltrone!”.
Il “partito delle poltrone”
La frase punta a solleticare gli umori della piazza, così cara al Capitano, ma qualcuno storcerà il naso, pur essendo un simpatizzane. Evocare “le poltrone”, significa ridurre la possibile intesa tra grillini e dem ad una questione di potere e denaro, fregandosene dei valori diversi e delle sciabolate che i due soggetti si sono inferte da sempre. Resta il fatto che Salvini ha giocato male la sua partita, da bischero, e le conseguenze negative potrebbero essere importanti.
Un possibile “dietro le quinte”
Supponiamo che Salvini abbia voluto con determinazione tenere fede alla parola data agli italiani e che il suo unico obiettivo era realizzare il programma elettorale proposto. Nobile impresa e potrebbe essere nelle corde del “tribuno della plebe”. Supponiamo anche che i suoi soci – i 5 Stelle – siano poco collaborativi e sovente rispondano “no” alle istanze. Non è antipatia, ma semplicemente divergenza d’idee su come affrontare e risolvere alcune questioni, poiché hanno una diversa prospettiva della società.
Il Capitano è un tipo concreto, carismatico, deciso e quelli che non stanno agli ordini lo innervosiscono parecchio. Oltretutto si prevede perdente a medio termine, perché i successi sono sempre a metà: ha puntato tutto sulla questione immigrazione e le navi delle ONG entrano lo stesso nei porti; l’Europa continua a considerare l’Italia il suo campo profughi e le grandi opere pubbliche, che potrebbero rilanciare l’economia, sono al palo. In compenso, s’investe sul reddito di cittadinanza e sui “navigator”, che giudica una roba inutile, dannosa e ragione di calo di consensi specialmente al Nord, tra i suoi elettori storici.
Poi c’è la questione dell’IVA, che aumenterà a gennaio, e della legge di bilancio, che dovrà passare l’esame dell’Europa. Ha promesso di togliere le accise e abbassare le tasse, e invece sarà costretto a fare il contrario. Cosa può cambiare rotta? Probabilmente si sarà chiesto: “Mi spengo senza tentare qualcosa che mi permetta di giocare la partita senza lacci e laccioli? Sono all’apice del consenso, ho gran parte dell’Italia nel taschino: faccio un azzardo. O la va o la spacca!” Forse sono stati questi i ragionamenti di Salvini nelle due notti che dice d’aver trascorso insonni, prima di togliere la spina all’esecutivo.
5 Stelle e Pd mai insieme…
Il calcolo si è fondato sul fatto che il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico mai e poi mai avrebbero formato una nuova maggioranza. Hanno entrambi problemi d’identità e di consenso. Si sono insultati a raffica e che dicono ai loro elettori? Scusate, in verità ci siamo sempre amati, perché l’amore non è bello se non è litigarello? (citando Jimmy Fontana). La conseguenza sarà tornare al voto e la Lega vince a mani basse: anche se avrà bisogno di Forza Italia e Fratelli d’Italia per arrivare alla maggioranza, ci sarà un tale divario di rappresentanti che nessuno aprirà bocca e sarà possibile portare a conclusione il programma elettorale così come è stato proposto.
Matteo Renzi, l’imprevisto
Ci sta, come strategia, ma bisognava prevedere che qualcuno avrebbe avuto qualcosa da dire, avrebbe tentato di sfruttare in modo positivo l’occasione insperata. E quel qualcuno è stato Renzi, forse il più fiero oppositore dei pentastellati, che sposta l’attenzione sulla questione finanziaria e sul pericolo di ritrovarsi “l’uomo solo al comando”, se si procedesse ad elezioni anticipate. Con i grillini non berrebbe neppure un caffè, ma per salvare l’Italia dai nuovi barbari, questo e altro!
Le mosse sbagliate, forse
E qui arriva il “patatrac” di Salvini, che diventa consapevole d’aver giocato un azzardo facile facile a tavolino, ma per niente liscio nella realtà. Invece che restare fermo sulla posizione condivisibile di eleggere un nuovo Parlamento e un nuovo Governo, se quello in carica passa più tempo a litigare che a produrre, manda segnali di distensione a Di Maio e Co. Qualcuno incomincia a pensare che, forse, non sono solo i “No” dei grillini ad aver innescato la crisi politica. Le persone, prima di andare dal giudice per divorziare, si parlano, chiariscono gli equivoci. Non lo fanno mentre escono dal tribunale con la sentenza in mano!
Lo stupore di Giorgetti
Un personaggio autorevole come Giorgetti manifesta pubblicamente la sua disapprovazione per una scelta di tempo sbagliata e tra i sostenitori della Lega iniziano a circolare le ragioni più fantasiose a sostenere la scelta del Capitano: inciuci che si stavano preparando e che Salvini ha voluto portare alla luce del sole, complotti internazionali che vedono Conte quale “infiltrato” d’interessi stranieri, specialmente di Francia e Spagna. Molti storcono ancora più il naso e i dubbi si radicano maggiormente quando Salvini, pur di ricucire, offre a Di Maio la Presidenza del Consiglio e manda tutti i suoi più fidati, come Centinaio e altri, a trovare “Giggino”, stringendo un rametto d’ulivo. La via maestra sono sempre le elezioni anticipate, ma forse no…
Il ribaltone è servito
Dopodiché è storia di oggi: salvo sorprese dell’ultimo secondo, i grillini restano e quelli che hanno preso sberle in faccia alle ultime elezioni, entrano nei palazzi del governo con la medaglia dei “salvatori della Patria”. Il 4 marzo del 2018 vinse la coalizione del centrodestra e a governarci sarà probabilmente il centrosinistra.
Tutto l’affaire avrà di sicuro conseguenze negative per la Lega già alle Regionali e anche la figura di Salvini ne esce alquanto ridimensionata. A differenza dai tempi di Bossi, che con Miglio prospettava un’Italia federale e quindi ogni decisione era presa in virtù di quel modello di società, la Lega di Salvini è modellata sul Capitano, sul “trucido” con jeans e felpa che non si fa intimorire da nessuno, gioca a palla in spiaggia e mangia la pizza come uno di noi, decide di volta in volta con il buonsenso di un padre di famiglia, s’appella alla Madonna per invocarne la protezione quale fiero e rude crociato.
Quale identità e valori ha la Lega?
Ma quale è l’Italia che immagina e vuole realizzare? Quale è l’identità della Lega? Non è più quella delle scampagnate alle sorgenti del Po, ma resta un oggetto misterioso anche per gli attivisti. La Lega di oggi è Salvini. Punto. E se il Capitano perde appeal, è un grosso guaio per il suo partito, per il centrodestra e anche per la democrazia, che ha bisogno di opinioni diverse e contendenti seri, credibili. Berlusconi, che nonostante gli anni ci vede sempre molto lontano, ieri mattina ha detto in un’intervista televisiva che il suo impegno futuro sarà quello di costruire un centrodestra unito, moderato, rispettoso dei valori occidentali di libertà e democrazia. Pensava già alle elezioni fra tre anni.
Massimo Carpegna