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Incalzato da Lilli Gruber in merito a un eventuale intervento militare italiano in Libia, il premier Giuseppe Conte ha affermato che 'le forze italiane potranno mettere piede in Libia con un mandato ben preciso in un quadro di monitoraggio della pace'.
Ora in Libia c'è la guerra ma sia Haftar che al-Serraj vogliono la pace. Ciascuno però la vuole a modo suo. Per questo si sta combattendo; per far sì che il proprio progetto di pace prevalga su quello dell'altro. L'Italia si riserva di intervenire per monitorare la pace (peacekeeping), cioè quando la guerra sarà finita. Ammesso che il futuro governo libico voglia una forza di peacekeeping sul proprio territorio e che le Nazioni Unite siano in grado di organizzarla. Insomma anche un intervento di monitoraggio della pace va incontro ad ostacoli importanti. Ma soprattutto astenendosi dall'intervenire nell'attuale guerra l'Italia rinuncia ad influenzarne il corso degli eventi.
Conte ha ribadito la posizione italiana, che è quella della diplomazia e del dialogo con tutti. Il premier ha osato addirittura fare una previsione, dichiarando che l'approccio italiano sarà alla fine quello vincente. 'Perché la forza della diplomazia e della politica è sempre vincente rispetto a quella delle armi, che non offre una soluzione' ha detto il presidente del consiglio. Come se la guerra fosse un evento estraneo alla politica, quando in realtà ne è la più drammatica manifestazione.
Insomma, la confusione, a partire dal livello concettuale, sembra regnare sovrana nelle alte sfere dell'esecutivo italiano. Non c'è da sorprendersi quindi se il nostro paese gioca un ruolo secondario in Libia. Per l'ennesima volta: rinunciare a prescindere all'intervento bellico significa autocondannarsi all'irrilevanza. È inutile prendersi gioco dell'incompetenza dell'attuale ministro degli esteri addossando su di lui tutte le colpe.
La politica italiana nei confronti della Libia non è stata influenzata dal cambio di maggioranza. Haftar e al-Serraj ascoltano innanzitutto i paesi che forniscono loro gli strumenti per combattere, poi, svogliatamente, ascoltano anche gli altri. L'Italia appartiene a questa seconda categoria.
Se può consolare, l'irrilevanza italiana è condivisa anche dalle altri capitali europee, a partire da Berlino. Gli sforzi della diplomazia tedesca per organizzare la conferenza internazionale dello scorso 19 gennaio sono stati vani. La tregua accordata in quella sede non è mai davvero entrata in vigore. In Libia i combattimenti hanno raggiunto la zona di Misurata, città da cui provengono le potenti milizie che difendono il governo di al-Serraj, mentre secondo quanto riportato dall'Ansa, colpi di artiglieria hanno ucciso due bambini alla periferia di Tripoli.
Gli stati che possono influenzare il corso della guerra civile libica sono Turchia, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Russia, ovvero i paesi che supportano militarmente le fazioni belligeranti. Gli appelli al dialogo dell'Italia e degli altri paesi europei continueranno ad essere spazzati via dal rumore assordante della guerra.
Massimiliano Palladini
Redazione Pressa
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