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Peace Spring. Così è stata battezzata l'incursione della Turchia nel Nordest della Siria. Il Presidente turco, Erdogan, ha giustificato l'operazione militare di Ankara affermando la necessità di 'prevenire la creazione di un corridoio del terrore' attraverso la costruzione di una zona cuscinetto di circa 32 chilometri nel confine turco-siriano. Una seconda giustificazione di Erdogan sarebbe il rimpatrio di circa 2 milioni di rifugiati siriani nella zona pianificata su un totale di 3,6 milioni presenti nel territorio turco.
Spinti da questa curiosa contraddizione, con la quale Erdogan inserisce gli stessi curdi - che hanno combattuto l'ISIS durante almeno cinque anni - all'interno dell'elenco dei terroristi, le forze militari turche hanno bombardato le località limitrofi di Tal Abyad e Ras Al-Ayn provocando la fuga di migliaia di persone verso altre zone della Siria. Gli attacchi aerei hanno colpito anche le zone di Qamishli e Ain Issa che si trovano attualmente sotto l'amministrazione curda.
Secondo l'osservatorio siriano per i diritti umani, questi primi attacchi hanno lasciato un saldo di almeno 16 morti e 33 feriti. Lo stesso Mustafa Bali, portavoce dei curdi, ha condannato gli attacchi turchi rivolti contro la popolazione civile. In queste ore, 'resistere' è diventato l'imperativo categorico delle Forze Democratiche Siriane guidate dal combattenti curdi.
In sintesi, il vuoto lasciato dal disimpegno militare statunitense nella zona sembra aver dato forma a uno stato di natura nel quale, in assenza di una terza forza sul territorio, i più fragili (i curdi) vengono depredati da uno più forte (la Turchia di Erdogan).
D'altronde, il conflitto in essere sta mettendo alla luce i troppi limiti della Comunità Internazionale. Sia il disimpegno statunitense nella zona sia il silenzio russo di fronte alla vicenda sono alcuni dei fattori che evidenziano l'assenza di un concerto mediante il quale le grandi potenze possano porre fine alla barbarie che sta prendendo forma nello scenario mediorientale.
Tra l'altro, le minacce di Junker di tagliare i fondi europei destinati ad Ankara non sembrano avere il peso sufficiente per dissuadere il Presidente turco dal proprio operato.
Infine, se dal Consiglio di Sicurezza ONU non dovesse sorgere una reazione concreta nei confronti dell'aggressione turca, i curdi diventeranno in pochi giorni l'ennesima vittima sacrificale nell'altare del sistema internazionale. Un sistema composto dagli stessi Stati che, dopo averli usati per combattere l'ISIS, oggi li scartano dato che non hanno tutte le carte in regola per appartenervi.
Questa è la triste e paradossale storia di un popolo che, pur avendo un marcato senso identitario e un irriducibile amor patrio, rimane senza territorio.
Estefano Tamburrini