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Riuscirà Enrico Letta a rifondare il Pd?

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Riuscirà Letta a cambiare la fisionomia di un partito incolore, indefinito e? marginale perché privo di una strategia politica chiara?


Riuscirà Enrico Letta a rifondare il Pd?
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Riuscirà Enrico Letta a rifondare il Pd? E' questo l'interrogativo che accompagna l'elezione di Enrico Letta alla segreteria nazionale del Pd. Perche l'eredità che gli lascia Zingaretti è pesante, è quella di un partito del quale egli stesso “si vergogna” perchè tutto dedito alla caccia alle poltrone e che Casalino (l'uomo di fiducia di Conte) dice essere “pieno di cancri da estirpare”. Un partito che si è da tempo appiattito sulle posizioni a volte qualunquiste, a volte sovranista dei 5Stelle di Grillo, perdendo per strada le caratteristiche di partito di sinistra per assumere quelle di partito solo teso ad evitare le elezioni politiche certo di perderle. E che, con l'ascesa di Draghi al governo, è imploso al suo interno in una lotta di potere tra correnti, tra cui quella dei governisti ad oltranza come Franceschini, palesando una preoccupante confusione culturale, politica, programmatica e di linguaggio.

Riuscirà allora Letta a cambiare la fisionomia di un partito incolore, indefinito e marginale perchè privo di una strategia politica chiara, che lo ho fatto diventare luogo di lotte politiche per il potere personale di qualcuno, senza azioni governative concrete per eliminare ad esempio il cancro tutto italiano dell'uso politico della giustizia come arma di potere, di finirla col gioco infantile dello spauracchio della destra brutta e cattiva finendo poi per andare al governo coi brutti e cattivi berlusconiani e salviniani, prima definiti “il male assoluto”? Facendogli perdere le caratteristiche di un partito “macchietta napoletana” grazie al suo governatore campano De Luca che lamentava in tv, ai tempi del governo Conte, di “essere governato a Roma da un gruppo di incapaci”, o con leader che prima promettono di andarsene se perdono il referendum (Renzi) per poi restare, che affermano di avere sconfitto due volte i 5Stelle e che mai al governo con loro (Zingaretti) per poi andarci e con chi aveva solennemente dichiarato (Di Maio) che “col partito di Bibbiano, che toglie i bambini alle famiglie, non voglio niente a che fare” .

Riuscirà Letta a fare assumere al Pd la fisionomia di partito davvero riformista di stampo europeo impegnato a modernizzare la struttura dello Stato e non solo alla ricerca del potere e alle poltrone e che si rifaccia agli insegnamenti di Turati, prima, e di Berlinguer dopo? Un partito che sinora non è mai riuscito (o non ha voluto) diventare davvero riformista e dunque socialdemocratico nei fatti e nella definizione, analogo a quelli esistenti negli altri paesi europei, rompendo definitivamente con la culturale marxista, da un lato e, dall'altro, con la cosiddetta sinistra cattolica dossettiana, di fatto integralista, impersonificata ora da Prodi e da altri, che hanno sempre rifiutato l'idea socialdemocratica? E che così facendo ha finito per generare un “partito mai nato”, come continua a ripetere Cacciari, o avvenuto a “fusione fredda” come dice D'Alema, un incontro cioè malriuscito di due culture, quella post comunista e post democristiana, divise su tutto, sia sul piano politico che su quello storico, dei valori, delle strategie di governo.

Riuscirà Letta ad imboccare la via del ribaltamento della posizione attuale tutta appiattita sulle posizioni anacronistiche dei grillini e a fare assumere al nuovo Pd il volto e i caratteri di un partito moderno, europeo, di cultura riformista e liberale, che si affianchi agli altri partiti europei, che lui peraltro conosce bene, buttando a mare gli intenti (che sembravano primari) della “distruzione del nemico”, piuttosto che quelli del dialogo e del confronto con tutti, un partito insomma che si liberi delle sue contraddizioni che lo hanno portato alla attuale profonda crisi di identità e di preoccupante mancanza di programmi di governo credibili anche agli occhi della Ue? Rifare un partito che non riesce nemmeno più ad esprimere segretari che durino per piu di due anni, che non sa esprimere leader riconosciuti tali, come hanno lamentato dirigenti come Gori, Casini, De Magistris, Cacciari e altri, così come commentatori di sinistra come Padellaro, Sansonetti, Cardini, Sorgi, De Bortoli, Rampini, Mieli, Cofferati.

Un partito insomma che si rifaccia alla cultura politica dei grandi uomini riformisti del passato, capace di elaborare una linea politica e programmatica di lungo respiro, coerente con le scelte europeiste ed atlantiche già compiute, che sappia esprimere una classe dirigente di alto profilo morale che, come ammoniva a suo tempo Max Weber, “non lasci la guida nelle mani di dilettanti animati solo da fame di potere personale”.

Cesare Pradella

Cesare Pradella
Cesare Pradella

Giornalista pubblicista, è stato per dieci anni corrispondente da Modena del Giornale diretto da Indro Montanelli, per vent'anni corrispondente da Carpi del Resto del Carlino, per ..   Continua >>


 


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