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Aspettando Godot... Letta vuol tornare all'Ulivo

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Una logica elettoralistica di basso profilo basata essenzialmente sull'apparire piuttosto che sull'essere, che fa leva sugli slogan come quello sullo ius soli


Aspettando Godot... Letta vuol tornare all'Ulivo
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L'attesa era tanta per l'arrivo al Pd di un nuovo segretario dopo i primi sette avuti in 13 anni, dal primo, Veltroni, all'ultimo, Zingaretti, di cui tre hanno addirittura cambiato partito come Bersani, Epifani, Renzi, altri due hanno lasciato la politica come Veltroni (divenuto scrittore) e Martina (andato alla Fao come direttore). E altri hanno lasciato il partito per occuparsi d'altro: Pistelli, ex vice ministro agli esteri nel governo Letta è andato alla direzione dell'Eni, l'ex ministro Padoan è andato alla presidenza dell'Unicredit, dimettendosi anche da deputato, l'ex ministro degli Interni Minniti ha lasciato pure lui la Camera per andare alla Fondazione del Gruppo Leonardo, ex Fimmeccanica.

Ma l'arrivo di Enrico Letta e soprattutto il suo primo discorso da segretario, hanno deluso le speranze e le attese di una svolta davvero epocale nel partito tradizionale della sinistra italiana, una svolta verso il riformismo socialista e liberaldemocratico, facendo finalmente una scelta 'europea' come fece la Spd tedesca di Willy Brandt a Bad Godesberg, che la collocò a fianco dei grandi partiti socialisti e laburisti europei in alternativa ai cattolici della Cdu. Una svolta cioè laica, moderna, protesa al futuro e alla interpretazione dei mutamenti economico-sociali della società.

Ma invece niente di tutto questo, niente casa del riformismo capace di comprendere e interpretare le mutate condizioni economiche e sociali dopo la delusione di una globalizzazione che, invece di superarlo, ha accresciuto il gap tra paesi ricchi e paesi poveri.

Ma, forse, le attese e le aspettative di tutto un mondo politico, economico, sociale e dell'associazionismo erano forse eccessive per le scelte di un leader nato e cresciuto nella Dc e per troppo tempo alla corte di uomini come Prodi e Andreatta che lo hanno forgiato all'insegna dei dogmi del cattolicesimo sociale e avviato sulla strada del compromesso storico con l'allora Pci.

E Letta ha subito chiarito che avrebbe fatto questa scelta che sa di vecchia politica, che sa di profumo di Ulivo, nonostante i limiti, le contraddizioni, le delusioni di quella alleanza che sembrava ormai finita in soffitta e che privilegia il ritorno al sistema elettorale maggioritario per tentare ancora una volta la cancellazione del 'mondo di mezzo' rappresentato dai partiti laici e centristi a favore del centro sinistra, alleanza di due sole forze, quella ex comunista e quella ex democristiana, entrambe vocate al potere, cercando di relegare gli altri partiti ai margini con una sorta di 'guerra santa agli infedeli'.

Una logica elettoralistica di basso profilo basata essenzialmente sull'apparire piuttosto che sull'essere, che fa leva sugli slogan come quello sullo ius soli o sul voto ai sedicenni per cercare di 'incantare' un certo elettorato e come 'richiamo' per le antiche truppe di sinistra, indicando una volta ancora la maggioranza di governo basata sull'asse Pd-5Stelle, magari allargato ai gruppuscoli di sinistra, visto che da solo il Pd è ormai minoritario. Un partito insomma con dentro tutti, da Bersani a Tabacci, da Orlando alla Binetti, per cercare di risalire la china elettorale, ma per questo destinato, come è già successo, di essere diviso su tutto, perchè con slogan accattivanti che piacciono ai nostalgici della vecchia sinistra si può guadagnare qualche voto, ma non si può certamente governare.

Letta è insomma teso alla difficile opera di ridare un'anima ad un partito che l'ha persa, a dargli una fisionomia che non ha, a spiegare alla gente cos'è oggi il Pd, a toglierlo dal limbo nel quale lo ha cacciato Zingaretti, “perchè il Pd è una ditta – come ha sentenziato Bersani – che non sa più quale sia la sua ragione sociale”. E che governa senza avere vinto le elezioni, anzi, avendole perse tutte negli ultimi anni, compreso le regionali. E, per farlo, intende percorrere la vecchia strada, quella che è stata di Zingaretti, cioè una coalizione Pd-5Stelle-Leu che si è dimostrata debole, poco credibile in Italia e in Europa, senza un programma di governo coerente, profondamente divisa al suo interno a causa della inaffidabilità dei grillini.

Ma Letta comincia già ad essere messo in discussione, come ha fatto il sindaco Pd di Bologna, Merola, che lo ha definito “un segretario calato dall'alto”. Ma che, tuttavia, tutti lo tirano per la giacchetta e tutti vogliono salire sul carro del vincitore, secondo il vecchio costume italiano, tutti, anche gli odiati renziani non pentiti, che sono rimasti in prima linea come Guerini, Marcucci. Rosato, Boschi, Lotti, Gori, Ascani, Faraone, Bellanova, Bonetti e il 'nostro' Bonaccini.
Peccato, altra occasione persa per una vera svolta moderna, laica, riformista, socialista democratica, europea. E anche questa volta l'Italia resta fuori dallo schieramento dei partiti progressisti europei.

Cesare Pradella

Cesare Pradella
Cesare Pradella

Giornalista pubblicista, è stato per dieci anni corrispondente da Modena del Giornale diretto da Indro Montanelli, per vent'anni corrispondente da Carpi del Resto del Carlino, per cinque..   Continua >>


 

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