Carcere Modena, il rumoroso silenzio delle voci di 4 persone decedute
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Carcere Modena, il rumoroso silenzio delle voci di 4 persone decedute

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Guido Sola: 'Non è più possibile ragionare di carcere, peraltro sempre e solo di sfuggita, unicamente quando si verificano quelli che, nel freddo linguaggio burocratico del Ministero della giustizia, si è soliti definire eventi critici'


Carcere Modena, il rumoroso silenzio delle voci di 4 persone decedute
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“Questo” carcere è inaccettabile perché, in questo suo essere semplicemente improntato alla non-vita, non ha nessun senso se non quello di spandere disperazione.
Suicidio.
Suicidi.
In carcere.
Anche a Sant’Anna.
Anche nella nostra città.
È inaccettabile.
Perché ogni suicidio in carcere è figlio della disperazione che ne intride finanche i muri.
Perché ragionare di suicidi – il quarto, a far data dal 31 dicembre, a Modena – di persone la vita delle quali e(ra) nelle mani dello Stato è ragionare di «un vulnus lancinante per la nostra civiltà» (E. Randazzo).
E perché davvero non è più possibile ragionare di carcere, peraltro sempre e solo di sfuggita, unicamente quando si verificano quelli che, nel freddo linguaggio burocratico del Ministero della giustizia, si è soliti definire eventi critici.
Ho vissuto in prima persona, già nel 2017, l’esperienza della commissione ministeriale chiamata a riscrivere la legge in materia di ordinamento penitenziario minorile.
Eppure e per quanto i numeri inerenti ai minorenni detenuti negli istituti penali per i minorenni fossero risibili rispetto a quelli inerenti ai maggiorenni in stato di cattività carceraria, nemmeno in quell’occasione la politica volle fare passi in avanti dal punto di vista costituzionale.
Quell’esperienza, anzi, mi convinse definitivamente del fatto che parlare di carcere è cosa che non interessa(va) in primis alla politica.
Perché il dossier carcere e(ra) dossier politicamente perdente.
In parte perché, in un’epoca storica così prepotentemente ammalata di giustizialismo, è più facile, per la politica, giocare a “buttiamo via la chiave” secondo malintesi schemi comportamentali ispirati a paradigmi concettuali per “duri-e-puri” – che, però, obliterano il fatto che, nell’ambito del nostro ordinamento costituzionale, le pene non possano consistere in trattamenti inumani e degradanti e, soprattutto, debbano tendere alla rieducazione del condannato –.
In parte perché, complice una politica che, non volendo appunto curare il dossier carcere, non intende favorire nessun serio dibattito culturale in materia, la società non è pronta a pensare che il carcere e, più in generale, il tema dell’esecuzione penale, sia ex se affare di tutti noi.
Il carcere è affare di tutti noi.
Non solo perché così deve essere nell’ambito di un vero e proprio stato di diritto.
Ma anche perché – questo è il punto – non può essere credibile una giustizia che, ancora oggi, si dimostra incapace di intervenire a valle del delitto, ritornando alla società un segno +.
Il ragionamento, sotto questo profilo, per quanto drammatico, è semplice.
Il delitto è un male.
E un male, se rappresentato sulla carta, sarebbe rappresentato con il segno –.
Ma, se così è, allora la domanda è: può la pena essere a sua volta un male?
Perché, se anche la pena è a sua volta un male, allora anche la pena deve essere rappresentata sulla carta con il segno –.
Ma due segni – certamente non possono ritornare un segno +.
Se quanto precede è corretto, non sembra allora revocabile in dubbio il fatto che la pena non possa essere solamente un male.
Così come non sembra revocabile in dubbio il fatto che, su questo sfondo, il carcere non possa essere solo “questo”.
Perché “questo” carcere – come perfettamente sa chiunque ne abbia toccato con mano logiche e funzionamento concreto – è pensato solo ed esclusivamente per isolare.
Perché “questo” carcere – come ben potrebbe testimoniare chiunque, agente di polizia penitenziaria, educatore, volontario e/o detenuto, lo viva quotidianamente – è pensato solo ed esclusivamente per dividere.
Perché “questo” carcere – come rumorosamente attestano le silenziose voci di quattro persone che non ci sono più – è pensato solo ed esclusivamente per infliggere gratuite sofferenze – che non possono e non devono essere inflitte in questi inutili termini, nemmeno allorquando, a monte, a stagliarsi sullo sfondo sia la commissione di un delitto –.
“Questo” carcere è inutile e, anche per questa ragione, inaccettabile.
A tal punto inaccettabile che non è possibile pensare di dover attendere il prossimo “suicidio che verrà” per ripensare infine l’esecuzione penale.
Perché, nell’attualità, un’esecuzione penale che voglia essere davvero in asse con i dettami propri della Costituzione non può più essere un’esecuzione penale costruita a partire da un carcere oggettivamente e totalmente inutile.
Da un carcere che, così costruito, non contrassegna altro se non una sospensione quotidiana; e che, in questo suo sempre uguale immobilismo improntato alla non-vita, non ha davvero nessun senso se non quello di spandere disperazione.
Aggiungendo, però – e come si diceva –, un male ad un male e, dunque, un segno – ad un segno –.
Se la politica non si farà infine carico di un dossier che, per quanto politicamente perdente possa essere, contrassegna il vero termometro della civiltà giuridica del paese – era Voltaire a ricordare che la civiltà giuridica di un paese non si misura a partire dal suo palazzo reale, ma a partire appunto dalle sue prigioni – e se la società non rinuncerà infine a logiche – quelle carcerarie proprie di “questo” carcere – che sono anche filosoficamente inaccettabili, in questo paese, non sarà mai possibile ridisegnare, in termini finalmente compatibili con quanto costituzionalmente imposto, l’esecuzione penale.
Con la conseguenza che ci troveremo, ben presto, a discutere, ancora una volta solo di sfuggita, dell’inutilità, assoluta, di un carcere che, così costruito, “costa” da tutti i punti di vista e non “produce” niente di utile da nessun punto di vista.
E, per tale via e ancora una volta ben presto, purtroppo, a discutere del prossimo, inaccettabile suicidio di persona l’incolumità della quale il nostro stato di (non) diritto avrebbe dovuto garantire.
Avvocato Guido Sola

Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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