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Il problema, per quanto riguarda l’affaire governo-Almasri, dal mio punto di vista, è semplice ed è tutto politico. Non che questo significhi, beninteso, che la questione non sia anche e soprattutto giuridica. Ma non è certamente la questione giuridica ad avere generato qui l’ennesimo cortocircuito costituzionale all’italiana. L’uso politico della giustizia, se, per un verso, rappresenta - e non solo in Italia - una storia vera, per l’altro verso, configura - e non solo in Italia - una vera e propria iattura. Che genera retropensieri e, su questo sfondo, gravi accuse reciproche, con conseguente alterazione degli equilibri tra poteri e ordini statuali. Sotto questo profilo, il punto, nel caso di specie, non è stabilire se la procura della Repubblica di Roma abbia notificato a Giorgia Meloni un’informazione di garanzia ex art. 369 c.
p.p. - è quanto affermato dalla presidenza del Consiglio dei ministri - ovvero abbia proceduto a semplice comunicazione di iscrizione ex art. 6 comma 1 l.c. 1/ 1989 - è quanto affermato dall’Associazione nazionale magistrati -.
Il punto, nel caso di specie, è comprendere per quale ragione la politica dovrebbe avere così platealmente travisato quello che, nell’ottica della stessa Associazione nazionale magistrati, così impostata la questione, avrebbe dovuto rappresentare “banale” atto dovuto. E la ragione, a mio avviso, è appunto tutta politica. Sarà casuale - certamente lo sarà -, ma nessuno, credo, avrà omesso di registrare il fatto che questo ennesimo strappo costituzionale è andato in scena esattamente all’indomani della manifestazione di protesta che la magistratura italiana ha giudicato corretto organizzare in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario e che il presidente dell’Associazione nazionale magistrati ha salutato con entusiasmo siccome “molto riuscita“: “c’è stata un’adesione di tutti “ - chiosava nell’occasione Giuseppe Santalucia - “e questo dimostra che la magistratura, su questi temi, sull’architettura costituzionale, è assolutamente compatta e unitaria”. Come si spiega, in questo specifico contesto, l’espresso richiamo del presidente dell’Associazione nazionale magistrati all’architettura costituzionale? Si spiega considerando che, appena prima - e cioè in data 16 gennaio -, la Camera dei deputati aveva approvato in prima lettura il disegno di legge costituzionale in materia di cosiddetta separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Cos’e’ successo in sostanza? È successo che, ancora una volta - recte: per l’ennesima volta -, la magistratura italiana ha reagito “politicamente”, sparando a palle incatenate contro quello che è e resta un atto legislativo parlamentare. Ciò in contesto in cui, sventolata Costituzione alla mano, nel nostro ordinamento, il giudice è - o dovrebbe essere - soggetto soltanto alla legge. Se così stanno le cose, anche in considerazione delle gravi accuse rivolte, nell’occasione, a quello stesso Ministro della giustizia oggi a sua volta “attenzionato” dalla procura della Repubblica di Roma, era davvero difficile, per la politica, a mio avviso, non fraintendere l’iniziativa del pubblico ministero romano e non leggere nella stessa ciò che credo v’abbia letto altresì la stragrande maggioranza della cittadinanza, vale a dire il più classico fallo di reazione tutto “politico”.
Ma il punto è: come s’è arrivati fin qui? Ci si è arrivati davvero per colpa di una politica che, come è stato sostenuto anche su queste colonne, punta, ancora oggi, a delegittimare la magistratura e, per questa via, a generare sfiducia nella giustizia o ci si è per avventura arrivati per colpa d’una magistratura che, da Mani pulite in avanti, ha sempre (più) giocato una partita squisitamente “politica”, sempre (più) alla luce del sole. Personalmente, non avrei dubbi in proposito. Ne’ mi sento d’ignorare il fatto che, nella vita - anche in quella costituzionale -, chi semina vento raccoglie tempesta - chi rappresentava la pubblica accusa nell’ambito del processo a carico di Matteo Salvini? Francesco Lo Voi. Chi ha messo in moto le macchine in danno di Giorgia Meloni? Esattamente lo stesso magistrato. Sarà casuale - certamente lo sarà -, ma, quando la partita si fa “politica”, purtroppo due indizi tendono a fare prova… Questo non significa - e concludo - che le parole di Giorgia Meloni trovino da parte mia completo apprezzamento. Se, dal punto di vista politico, a mio avviso, il presidente del Consiglio dei ministri aveva pieno diritto di difendere il proprio operato anche esprimendo, come ha fatto, critici giudizi politici, censurare l’azione dell’avvocato Luigi Li Gotti anche per avere questi difeso “pentiti” di mafia ha rappresentato, secondo me, il classico fuor d’opera. L’avvocato - nè ciò può mai essere dimenticato, pena l’ineluttabile flessione del sistema su se stesso - difende i diritti, non i reati. E non può mai essere negativamente giudicato per avere difeso nelle aule di giustizia coloro che, imputati nel processo penale, si sono affidati alle sue cure. L’avvocato - è bene ricordare - è colui che si siede dalla parte del torto anche e soprattutto perché, nella vita, i posti dalla parte della ragione sono spesso già occupati. E’ bene non dimenticare mai quanto sopra. Perché il rischio di scarrocciare pericolosamente verso lidi ancora più improntati a populismo e giustizialismo, alimentando con ciò preoccupanti equivoci di fondo, purtroppo, anche in Italia, non è mai latente.
Avvocato Guido Sola
Redazione Pressa
La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, .. Continua >>