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La richiesta di 6,3 miliardi avanzata da Fca ha più di un retroscena inquietante.
L'ex Fiat ormai è straniera in patria, tra sede legale olandese e quella fiscale inglese, francese è l'attuale AD dopo il canadese/italo Marchionne, e sta per fare una redditizia fusione con la Peugeot dei cugini d'oltralpe.
Le maglie larghe del Decreto Liquidità di 55 miliardi di euro di debiti, che graveranno sulle future generazioni, consente prestiti alle imprese per la ripartenza post Covid con la garanzia dello Stato. La multinazionale guidata da John Elkann ha buttato tramite Intesa San Paolo sul tavolo del ministro Gualtieri la richiesta del prestito, minacciando in caso di un niet di non investire e di delocalizzare le briciole italiche del lingotto d'acciaio.
Gli Agnelli/Elkann riceveranno il denaro con la garanzia dello Stato che in teoria dovrebbe essere restituito fra tre anni, ebbene sia chiaro che si tratta di una operazione a fondo perduto.
L'industria delle quattro ruote è in crisi marcia aumentata dal Covid, la Fca è molto in ritardo sia sull'elettrico che sull'ibrido e in profondo rosso si trovano proprio le sue aziende italiane, ancora in attesa di quei 5 miliardi di euro promessi nel 2018 dal defunto Sergio Marchionne, per le quali intende utilizzare per l'appunto i 6,3 miliardi chiesti allo Stato. In questo modo è il solito pantalone che paga l'ennesima fusione di questi torinesi 'falsi e cortesi' come recita il famoso detto.
In caso di una probabile e rinviata dismissione aziendale in Italia, o di un futuro fallimento, a quale sede europea della ex Fiat si andrà a bussare per recuperare il prestito? Diciamo chiaramente che si tratta di un regalone, che a fronte delle minacce di cui sopra, abbiamo al solito chinato la testa.
Si grida al lupo dentro il Pd animato e diviso come e di più di prima, quando ormai si è mangiato la nonna e cappuccetto rosso, consapevoli che la rapina legale non la mettiamo in sicurezza chiedendo alla Fca di presentare piani industriali con la promessa solenne di utilizzare il prestito per le aziende nostrane e illudendosi che poi siano di parola. Ricordiamoci come è finita la vicenda dell'ex Ilva/Mittal, oppure rendendo più appetibile il nostro ordinamento giuridico e fiscale per un ipotetico 'ritorno a casa Lassie'. La questione dei paradisi fiscali europei, una pagliuzza nella Unione europea, tutta o quasi ancora da realizzare, va posta a Bruxelles.
Franca Giordano
Redazione Pressa
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