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Donbass e accesso al mare: ecco le ragioni della Guerra

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Era il 2014 quando gli Stati Uniti decisero di 'esportare la democrazia' in questa ex repubblica sovietica che, fino a quel tempo, era in pace


Donbass e accesso al mare: ecco le ragioni della Guerra
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Negli anni 43 e 44 dopo Cristo, l’imperatore Claudio conquistò l’attuale Inghilterra, che divenne provincia romana con il nome di Britannia. Quale fu la ragione di questa impresa? La Britannia era già conosciuta dai Greci e dai Cartaginesi per la grande quantità di stagno che si poteva estrarre; i Greci, infatti, chiamavano le isole britanniche Cassiteridi, che significa appunto isole dello stagno. Rame e stagno producono il bronzo. La conquista della Britannia non fu quindi per portare la luce della civiltà in quella landa barbara e all’estremo nord; la guerra dell’imperatore Claudio fu combattuta per rubare lo stagno e produrre il bronzo.

Tutte le guerre hanno sempre ragioni economiche, poiché il denaro è potere. Se nei Paesi del Golfo non ci fosse il petrolio, ma solamente sabbia e desolazione, non si sarebbe combattuta neppure una battaglia tra noi e gli abitanti di quelle terre assolate.

Sovranità territoriale, democrazia e libertà sono le bandiere che sventolano per nascondere le reali motivazioni. Nessuno va a farsi ammazzare per pagare meno la benzina e nessuno accetta sacrifici o di perdere il lavoro, perché qualcuno deve risparmiare sul costo degli aerei, costituiti all’80 per cento da titanio, presente in modo cospicuo in Ucraina.

Kiev e la sua guerra, ammantata di romantico eroismo e valori da difendere al costo della vita, non fa eccezione: qualcuno muore e qualcuno, ben al sicuro, si arricchisce. Tutta la questione si può sintetizzare in due parole: Donbass e accesso al mare. Come ho già scritto in un articolo precedente il Donbass è ricchissimo di carbone e di metalli rari e, nelle sue viscere, pare che si nasconda un immenso giacimento di gas e petrolio.

Nel 2014, gli Stati Uniti decidono di “esportare la democrazia” in questa ex repubblica sovietica che, fino a quel tempo, era in pace. Sicuramente il suo governo oligarchico e filo russo si presentava corrotto in alcuni componenti, ma quale amministrazione non lo è? Le nostre sono tutte oneste? Obama decide che è giunto il momento di rimettere sotto pressione la Russia di Putin, troppo ringalluzzita, perché l’America ha una visione monopolare del mondo: la superpotenza militare ed economica sono io. Punto e basta.

Finanzia allora la cosiddetta “Rivoluzione arancione” per garantirsi due carte da giocare: la prima è ottenere concessioni dal nuovo governo filo occidentale per lo sfruttamento delle risorse e la seconda è rompere le scatole a Putin, con l’ipotesi che l’Ucraina vada a finire sotto l’ombrello della NATO, come già hanno scelto tante altre ex repubbliche sovietiche, e sia possibile piazzare missili a testata nucleare a due minuti da Mosca. E’ il piano della Rand Corporation.

Tutto sembrerebbe procedere per il meglio, ma accade l’imprevedibile: a Barak Obama non succede Hilary Clinton ma Donald Trump, probabilmente aiutato dalla stessa Russia che ha compreso benissimo il giochino messo in campo dal Pentagono e dai Democrats.
Trump, il guerrafondaio Trump non ha interesse a minacciare la Russia attraverso l’Ucraina e si spinge addirittura ad affermare che la NATO non ha più ragione di esistere, costa troppo ai contribuenti americani ed è ora che l’Europa si attrezzi con una propria difesa. Al Pentagono, alle industrie belliche e a quelle collegate a certi metalli indispensabili nella produzione di apparecchiature elettroniche e non solo, tremano i polsi. La comunicazione si scatena contro il Tycoon, presentato quale stupido cowboy che si deve togliere immediatamente dallo Studio Ovale, prima che combini guai irreparabili.

Si preleva dal “buen ritiro” Joe Biden, già vice di Obama, che in tutta la sua vita non ha mai espresso un’opinione personale, non ha mai dato fastidio e proprio per questa sua “qualità” ha svolto una carriera lunghissima nella politica, fino ad arrivare al vertice. Malignamente, qualcuno pensa che il presidente Zelensky sia il burattino nelle mani del ventriloquo Biden; altri sono convinti che Biden sia il burattino nelle mani di altri personaggi più astuti e coperti.

Durante la presidenza Trump, il Donbass è piombato nel silenzio e non si è sparato un colpo, tanto è vero che nel 2020, e quindi con già presidente Zelensky, il Parlamento ucraino comunicò la volontà di adottare una legge, che consentisse alle province di Lugansk e Donetsk di autogovernarsi, così come era stato richiesto nel 2014. A questo link dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale dell’Università Luiss, potrete leggere l’articolo dell’epoca.

Sembrava tutto risolto, finché il 7 novembre del 2020 non è eletto alla Casa Bianca Joe Biden e qualche mese dopo, nel febbraio del 2021, inspiegabilmente riprendono gli scontri: a Stanycja Luhans'k è bombardata una scuola nella zona sotto il controllo ucraino. Kiev afferma che sono stati i secessionisti e per i secessionisti, la responsabilità è dei battaglioni nazisti di Kiev (proprio l’Azov), che hanno voluto far riprendere i combattimenti. “Per quale ragione avremmo dovuto uccidere dei bambini, ammesso che ciò possa trovare una giustificazione, proprio ora che il contrasto si sta risolvendo al meglio per noi e pacificamente?” fu la domanda logica posta a Kiev dagli amministratori di Donetsk e Lugansk. Naturalmente non giunse alcuna risposta e il Churchill del XXI secolo diede ordine di scatenare l’inferno in quelle due province.

Come sappiamo, interviene la Russia che era rimasta in silenzio anche lei durante la presidenza Trump. Vogliamo credere che la ragione della sua aggressione sia solo quella di difendere gli ucraini russi di quella zona di confine? Sicuramente no. Sono sempre le ricchezze del Donbass che fanno gola, che si deve sottrarre al probabile sfruttamento degli americani. Con le due repubbliche indipendentiste filo russe, per Putin il problema s’era risolto, ma ora Kiev rivuole il controllo, forse perché qualcuno che ha investito miliardi di dollari pretende la contropartita.

Scoppia “l’operazione militare speciale” con le solite bandiere che sventolano: l’ultima battaglia contro i nazisti, il soccorso verso i fratelli del Donbass, per la parte russa, e la libertà e la democrazia, i valori dell’Occidente contro l’oscurantismo dittatoriale del macellaio Putin, per gli Stati Uniti e camerieri vari.

Ecco perché lo scontro prosegue, distrugge città e falcia decine di migliaia di vittime. Nessuno dei due contendenti vuole la pace, ma una resa dell’altro. Potete immaginarvi l’America, che ha investito in elezioni ucraine e armamenti almeno una ventina di miliardi di dollari, che si ritira dalla contesa e perde anche lo sfruttamento economico del Donbass? Che prova al mondo in modo inequivocabile che la sua visione monopolare non ha ragione di esistere, perché non è più lei a comandare tutti? Potete immaginare che la Russia di Putin, dopo aver perso 20 mila soldati e compromesso pesantemente la sua economia, torni al Cremlino con la coda in mezzo alle gambe? L’escalation continuerà e Dio non voglia che, per la stupidità di alcuni, non si debba arrostire tutti in un lampo accecante.

Chiedetevi anche perché questa sequela di presidenti e primi ministri in visita a Kiev da Zelensky. Le armi costano e non si regalano a nessuno. E convincere l’opinione pubblica, che la pace si ottiene armando sempre di più la piccola e devastata Ucraina contro la seconda superpotenza mondiale, è uno sforzo non indifferente
Concludiamo questa analisi con le ragioni di così tanta pressione su Mariupol e la sua acciaieria. Si deve cancellare il battaglione nazista, che in questa città nacque nel 2014? Si devono vendicare le migliaia di fratelli russi del Donbass, uccisi dalle SS redivive? Anche… Ma la vera ragione è sempre quella economica. Chi lavorerà i metalli estratti? Da dove partiranno per essere poi venduti? L’acciaieria di Mariupol e il porto di Mariupol.

E questa è anche la spiegazione per la quale 2000 soldati ucraini, compreso il battaglione Azov, riescono a resistere all’Armata Rossa in un rapporto di uno a dieci. I russi sono diventati incapaci di premere il grilletto? No… tirano granate su edifici secondari per non distruggere una acciaieria che dovrà ancora fondere e lavorare il metallo in un prossimo futuro. E poi ci sono i civili e tutto il mondo che guarda, attende un altro massacro d’innocenti. Ma è plausibile che a questi innocenti sia vietato mettersi in salvo: proteggono meglio di una lastra di cemento spessa due metri.

Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>



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