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Ormai prossimi alla conclusione del primo semestre 2019 e nell’attesa dei consueti rendiconti finanziari in grado di certificare o meno lo stato di salute dei propri investimenti e da quest’anno anche dei costi sostenuti, sembrano però essere assai lontani i comportamenti manifestati dai risparmiatori nelle prime settimane dell’anno.
Di fatto si è passati da un senso di panico o di sconforto per i negativi risultati 2018 ad un atteggiamento di nuova assuefazione, grazie al recupero delle quotazioni di molti strumenti finanziari. Un cambio di paradigma avvenuto grazie al ritorno sui massimi del mercato azionario e obbligazionario globale.
Un prodigioso recupero avvenuto però in un degrado generale del sentiment economico reale, quest’ultimo accompagnato, quasi a sua certificazione, dalla risalita ai massimi degli ultimi 6 anni dell’oro, ossia del bene rifugio per eccellenza, nonché dal redivivo Bitcoin che è più che triplicato da inizio anno.
In un tale contesto di apparente bengodi delle quotazioni, si sono però raggiunti non solo nuovi top massimi o relativi ma anche nuovi record negativi in termini di rendimenti obbligazionari.
Nei giorni scorsi si è infranto il muro di obbligazioni mondiali a rendimento negativo registrato nel 2016, raggiungendo così la stratosferica cifra di oltre 13 trilioni di dollari in bond a rendimento sottozero, ossia che a scadenza genereranno una perdita rispetto ai prezzi attuali di acquisto.
Nel dettaglio è possibile osservare come vi siano paesi con rendimenti in valuta locale ormai negativi per oltre 20 anni come in Svizzera, per 15 in Germania o attorno ai 10 anni in Giappone o nell’Europa core quali Francia, Olanda, Austria ecc.
MOLTEPLICI DIVERGENZE
Uno scenario in cui si osserva poi la peculiare eccezione dell’Italia ma ancor più degli Stati Uniti, i quali a differenza del Belpaese, risultano sì a rendimenti nominali positivi ma con una curva dei tassi decisamente invertita, ovvero tassi più alti nelle scadenze a breve rispetto a quelle lunghe.
Un dato in genere anticipatore di una recessione economica.
Recessione che al momento non sembra neppure essere presa in considerazione dai listini azionari mondiali ed in particolare da quello USA che appare ormai tra i più cari.
Il listino americano esprime inoltre un differenziale negativo attorno allo 0,3% tra il rendimento dei titoli decennali USA e il dividend yield dello S&P500, ovvero il Treasury decennale rende circa il 2% annuale mentre il dividend yield della borsa americana è attorno all’1,7%. Un dato anch’esso di ulteriore allerta peraltro rafforzato dalla più ampia divergenza semestrale tra l’andamento dei rendimenti obbligazionari decennali ed il rialzo espresso in questi 6 mesi dalla borsa. Un gap certificato da Goldman Sachs e superiore anche all’estremo emerso nel 2007 e antecedente la grande crisi.
Tali estremi sarebbero poi sempre da associare, seppur talvolta disconnessi nel breve termine, al generale quadro macroeconomico degli USA, ossia e con la fine del mese corrente, al raggiungimento del ciclo espansivo più lungo della sua storia e superiore a quello degli anni ’90. Fatto quest’ultimo che non necessariamente prelude alla recessione immediata ma logicamente espone il “late bull market” ad una possibile e fisiologica fine.
A livello globale e come certificava già lo stesso OCSE nel suo ultimo World Economic Report di aprile, appaiono fin troppo elevate le divergenze tra le quotazioni dei mercati internazionali e le stime (sempre più al ribasso) di crescita degli utili prospettici delle aziende. Una discrepanza che a distanza di due mesi è ancor più marcata dopo l’ultimo allungo dei mercati e in ulteriore discordanza anche rispetto alla prima contrazione dell’indicatore PMI Manifatturiero Globale (sotto area 50) dal 2012.
Il quadro economico non appare quindi dei più rosei, a maggior ragione visto il perdurante braccio di ferro tra USA e Cina sui dazi. Tensioni che al prossimo G20 di Osaka potrebbero modificare sensibilmente la situazione ed il sentiment generale.
L’OPINIONE
In un tale contesto e seppur banche centrali e industria finanziaria non possono far altro che promettere sostegno in caso di peggioramento e ostentare ottimismo per evitare disinvestimenti massivi dal sistema, dovrebbe però essere auspicato nei risparmiatori un atteggiamento quantomeno di allerta e cautela o addirittura contrarian, volto semmai a privilegiare la liquidità di conto o per i più audaci l’accumulo di posizione ribassiste, al fine di tutelarsi da rovesci futuri. Rovesci che statisticamente si fanno sempre più probabili, seppur non certi nei tempi.
Rubens Ligabue