articoliParola d'Autore
La Pressa
Trovo che la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne sia una delle tante iniziative ipocrite che corredano la nostra società in sfacelo. Vedere sindaci, politici, rettori che tengono comizi e si fanno fotografare accanto alle panchine rosse concepite come simbolo decadente di questa iniziativa mi mette i brividi. Credo che, invece che riferirci esclusivamente agli esiti più barbarici e disgustosi concepiti dalla mente maschile contro il femminile, dovremmo essere consapevoli tutti i giorni e in ogni minuto, e non solo il 25 novembre, di una verità per me molto chiara e ancora più inquietante: che cioè nella maggior parte dei casi e delle situazioni l’uomo compie strutturalmente una violenza contro una donna anche solo quando prova ad avvicinarsi al suo universo complesso, anche quando prova ad amarla, anche quando è animato da un trasporto sincero.
E questo accade perché per milioni di anni il femminile ha permeato di sé magicamente ogni percezione della realtà e del sogno, ogni qui e ogni altrove, ogni anelito e ogni forma di vita. Tutto era femminile: le piante, gli alberi, il mare, il sole, le montagne, gli animali. Solo 10.000 anni fa l’uomo, scoprendo il proprio ruolo nella procreazione, ha assunto un potere che non gli spetta e che lo rende goffo. E lo ha assunto proprio tramite la violenza.
E ogni volta che adesso un uomo si avvicina a una donna o pensa a lei, è come se questo sopruso originario continuasse suo malgrado in qualche modo a manifestarsi. Anche nel canto d’amore del più sensibile dei poeti riecheggia sempre una violenza ancestrale contro la donna, una memoria silenziosa e rancorosa di questa indebita appropriazione del maschile sul femminile, che è una peculiarità dell’evoluzione di Homo Sapiens. In nessun’altra specie animale si riscontra questo sfacelo. L’uomo non riesce più a concepire, riconoscere o contemplare la vastità lunare del femminile, perché gli ricorda i milioni di anni in cui egli non era che una piccola foglia della grande donna-albero che creava i mondi danzando.
Francesco Benozzo
Giornata contro la violenza sulle donne: quanta ipocrisia decadente

L'uomo non riesce più a concepire, riconoscere o contemplare la vastità lunare del femminile


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E questo accade perché per milioni di anni il femminile ha permeato di sé magicamente ogni percezione della realtà e del sogno, ogni qui e ogni altrove, ogni anelito e ogni forma di vita. Tutto era femminile: le piante, gli alberi, il mare, il sole, le montagne, gli animali. Solo 10.000 anni fa l’uomo, scoprendo il proprio ruolo nella procreazione, ha assunto un potere che non gli spetta e che lo rende goffo. E lo ha assunto proprio tramite la violenza.
E ogni volta che adesso un uomo si avvicina a una donna o pensa a lei, è come se questo sopruso originario continuasse suo malgrado in qualche modo a manifestarsi. Anche nel canto d’amore del più sensibile dei poeti riecheggia sempre una violenza ancestrale contro la donna, una memoria silenziosa e rancorosa di questa indebita appropriazione del maschile sul femminile, che è una peculiarità dell’evoluzione di Homo Sapiens. In nessun’altra specie animale si riscontra questo sfacelo. L’uomo non riesce più a concepire, riconoscere o contemplare la vastità lunare del femminile, perché gli ricorda i milioni di anni in cui egli non era che una piccola foglia della grande donna-albero che creava i mondi danzando.
Francesco Benozzo
Francesco Benozzo
Professore di Filologia e linguistica all’Università di Bologna. Direttore di tre riviste scientifiche internazionali e di numerosi gruppi di ricerca interuniversitari, coordina il Dottor.. Continua >>
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