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Green pass, ora è chiaro: il vero esperimento è di tipo socio-politico

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Ci? che sta vacillando è l'essenza stessa dei rapporti sociali e politici per come li abbiamo conosciuti, dal dopoguerra in avanti e ancora oltre


Green pass, ora è chiaro: il vero esperimento è di tipo socio-politico
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La prima sensazione di questa mattina, dopo le parole di ieri sera del Presidente del Consiglio, è di essere all’interno di una sperimentazione. Bisogna però evitare di cadere nella trappola di parlare del vaccino: si può essere favorevoli o contrari, poco importa. Diversamente da quello che si può pensare, infatti, non siamo protagonisti di una ricerca clinico-medica, né tantomeno scientifica. Siamo tutti all’interno di un enorme esperimento socio-politico.

Perché se fino a ieri si poteva anche dibattere sulla reale efficacia dei vaccini nell’attenuare le manifestazioni della malattia o nell’evitare il contagio, sul fatto che sia un medicinale ancora in fase di sperimentazione, sulle informazioni che arrivano dai Paesi dove il tasso di vaccinazione è più elevato (Regno Unito e Israele in primis), sull’incidenza del vaccino sui dati delle ospedalizzazioni ordinarie e in terapia intensiva, nonché sui decessi, ora è necessario spostare la discussione su tutt’altro piano.

E per farlo è assolutamente necessario scansare i temi contingenti e analizzare i fatti in un’ottica più ampia della solita diatriba pro o anti vaccino, che rischia solo di essere una coltre di fumo che non permette di guardare oltre e scorgere il cambio di paradigma nel rapporto tra governanti e governati, che a mio avviso rappresenta il vero tema. Anzi, rimanere sul piano di una discussione riguardante l’introduzione delle misure legate al lasciapassare sanitario, rischia di essere il famoso dito che lo stolto guarda, quando da homines dubitantes dovremmo invece mirare alla luna.

A ben vedere, infatti, quello che è in gioco è ben di più del riconoscimento della bontà di un trattamento sanitario o della libertà di una pizza al ristorante.

Ciò che sta vacillando è l’essenza stessa dei rapporti sociali e politici per come li abbiamo conosciuti, dal dopoguerra in avanti e ancora oltre, negli ultimi 30 anni, da quando l’ultimo grande regime illiberale, il socialismo reale dell’Europa orientale, è crollato su se stesso.

Le grandi democrazie si basano sul primato della libertà individuale (intesa come insieme dei diritti inalienabili che hanno trovato non a caso la loro più completa definizione nel 1948, dopo l’esperienza traumatica dei totalitarismi del primo ‘900), intimamente interconnessa con la responsabilità del singolo, cui va contrapposto l’interesse collettivo che fa di noi dei cittadini. Tuttavia quest’ultimo non può, da solo e per sempre, giustificare una limitazione della prima, a pena di veder riapplicate le istanze dei regimi socialisti, questa volta declinati in un mondo ipercapitalista sovranazionale. Al contrario, devono continuamente essere ponderati i contrapposti interessi (individuali-collettivi), arrivando ad una compressione della libertà quale misura estrema e solo ed esclusivamente di fronte al rischio di intaccare diritti inalienabili di pari rango per il solo tempo necessario a scongiurare questo pericolo. Non solo: l’intervento limitativo deve basarsi su misure che garantiscano al di là di ogni dubbio che l’efficacia delle stesse ripaga della rinuncia alla garanzia di libertà individuale.

Ma il punto, seppure ci sarebbe da discutere ampiamente anche quanto appena accennato, non è neanche questo. Il vero fuoco va posto sulla modalità adottata per imporre tale limitazione. Modalità che da tentativo si sta trasformando in sistema consolidato. Siamo arrivati, è davanti agli occhi di tutti, alla strategia di non imporre un obbligo, fatto che comporterebbe contestualmente un’assunzione di responsabilità da parte di chi governa, ma formalmente di lasciare libertà di scelta, andando però a incidere profondamente sulle libertà sociali di chi assume la decisione indesiderata. L’effetto più immediato è la deresponsabilizzazione del governante, che riversa nel governato la responsabilità della scelta perché legata alla presunta libertà concessa. Ma quale fiducia può esserci in uno Stato che impone senza prendersi l’onere conseguente a tale imposizione? E quale libertà è mai questa, dove una libera scelta individuale genera la compressione di una libertà fondamentale dell’individuo stesso?

Esercitando il salvifico esercizio del dubbio si scorge nitido il rischio che oggi sia il vaccino, ma domani possa essere qualunque altra l’imposizione, essendo sufficiente che venga presentata con un’adeguata campagna a sostegno della sua (presunta) irrinunciabilità in favore della collettività. E molte cose che risultavano inaccettabili, potrebbero diventare un domani non solo consentite, ma persino desiderate e ricercate dagli stessi cui vengono imposte. Questo perché il passaggio sociopolitico ulteriore che è stato messo in campo in questa poderosa offensiva verso l’individuo non omologato, passa attraverso il sempre valido precetto del divide et impera. Inteso non solo nel classico senso del separare per ridurre ai minimi termini i nuclei di potenziale contestazione, così che disconnessi tra loro abbiano meno forza, ma soprattutto nel senso di creare divisioni anche laddove non ci sono, nel contrapporre, nel costruire categorie ben identificabili all’interno delle quali classificare tutti e poi riversare contro una di esse ogni colpa, incanalando le frustrazioni delle altre.

E in questa guerra civile artatamente generata, allora, le parti perdono di vista il vero faro del proprio essere, ciò che di più sacro deve rimanere oltre ogni relatività: l’uomo libero che si autodetermina in un “mondo in cui gli esseri umani [siano] liberi di parlare e di credere, liberati dal terrore e dalla miseria, [quale] aspirazione più alta dell'uomo”. (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 1948). Necessita, quindi, una presa di posizione per non venire, domani, tacciati di non essersi opposti a ciò che stava montando sotto gli occhi di tutti.

È il momento, questo, al di là delle posizioni sul singolo provvedimento, di rifiutare prima di tutto ogni accettazione di questi distorti meccanismi di potere, respingendo l’instaurazione di una pseudo-democrazia basata sul mobbing sociale, nella quale il popolo, ogni singolo cittadino, lungi dall’essere sovrano, diventi parte di una folla di biechi sorveglianti dei comportamenti dei propri simile non allineati.

Simone Zanin - Responsabile territoriale Nazione Futura Sassuolo

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