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Guerra in Ucraina, la verità nascosta

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L'ultimo atto: Russia trasformata nell’immaginario collettivo nella nuova Germania nazista e Putin nel nuovo Hitler


Guerra in Ucraina, la verità nascosta
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Mentre in Italia ci si divide tra “atlantici” e “putiniani”, escludendo a priori chi condanna la Russia per l’aggressione ma tenta di capirne le ragioni, l’autorevole rivista d’orientamento conservatore “The national interest” pone seri dubbi sulla strategia di Washington, volta unicamente a Punire Putin e cancellare la Russia da tutto, se non destituirà il suo leader o peggio. Con raziocinio, valuta che, se non si porrà come elemento prioritario la pacificazione delle due anime dell’Ucraina, nessuna pace sarà duratura, con o senza Mosca. E gli sviluppi di ciò sono imprevedibili.

In contemporanea, oltre al fiume di denaro pervenuto a Kiev in questi ultimi otto anni – 10 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, 1,7 miliardi di sterline dalla Gran Bretagna e 6 miliardi di euro dalla Banca Europea – pare che le denunce della Russia sui laboratori batteriologici americani in Ucraina non siano bufale.

Per Washington, in un primo momento, appartenevano alla fantasia schizofrenica di Putin; poi ne ha ammessi quattro per aiutare gli ucraini a combattere il Covid. La Russia, invece, ne denuncia trenta con l’accusa a Hunter Biden, il figlio del Presidente, d’essere della partita. Alcune email sembrano confermare che il giovane Biden abbia contribuito, tramite la società Rosemont, a sovvenzionare Metabiota, un appaltatore del Pentagono che sviluppa armi biologiche proprio in Ucraina. Ma l’indagine è ancora in corso.

In questo caso, siamo nel campo delle interpretazioni, delle ipotesi, ma abbiamo altri dati certi e verificabili da chiunque su una strategia americana volta a far pressione sulla Russia. In questi ultimi tempi, e non se ne comprende la ragione se non come un mostrare i muscoli a Putin, la NATO ha realizzato tre esercitazioni militari in Ucraina.

La prima è stata nel mese di giugno del 2021 con il nome “Brezza marina”, che ha coinvolto anche l’Australia, sebbene questo Paese non sia nella NATO. Un mese dopo, e cioè a luglio, ha proseguito con un’altra esercitazione con il nome “Tre Spade” e, infine, un’ultima esercitazione a settembre con il nome “Tridente Rapido”. In sintesi, da giugno a settembre l’Ucraina ha gentilmente ospitato le prove di 32 Paesi nell’affrontare scenari di guerra.

A Settembre, Putin avverte l’America che sta portando la situazione a un punto di collasso, dove anche un errore non voluto potrebbe produrre uno scontro. Non ottiene alcuna risposta positiva.

Tutto ciò, il potenziamento dell’esercito ucraino con i soldi dell’America, i laboratori biologici per sconfiggere il Covid e altre pandemia d’origine militare, le esercitazioni ai confini terrestri e marittimi della Federazione Russa non giustificano affatto l’aggressione, ma la domanda che ogni persona dovrebbe porsi è semplice: tutto ciò era necessario e con quale scopo? L’assenza di tali pressioni avrebbe evitato la guerra?
Le punzecchiature americane nei confronti della Russia sono di lunga data, iniziate con Obama, interrotte con Trump, e riprese con Biden, per alcuni scelto proprio perché non intralciasse il progetto elaborato da altri e si cita la Randall Corporation.

Se osservate la “timeline” di questa “Guerra Fredda 2.0” tra Washington e Mosca e diveniuta “calda”, noterete che, finché l’Ucraina ha avuto un Presidente filo russo, libertà e democrazia erano deficitarie, la corruzione dilagava, ma il Paese era in pace, così come l’America e il suo braccio armato di politica estera, la NATO, scorrazzavano da altre parti.
Nel gennaio del 2014, in Ucraina gli scontri di piazza si fanno sempre più cruenti e compaiono, tra i manifestanti, gruppi paramilitari nazionalisti. Il 2 maggio 2014 ad Odessa, presso la Casa dei Sindacati, estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini lanciano Molotov all’interno dell’edificio che prende fuoco. I sostenitori del precedente governo filo russo sono arsi vivi e, quelli che riescono a guadagnare l’uscita, sono uccisi a colpi di mitra. Il Parlamento nomina Presidente e Premier 'ad interim' Oleksandr Turčinov, ex capo dei servizi segreti e braccio destro della Tymošenko.

Nel dicembre 2013, Victoria J. Nuland, sottosegretario agli Affari politici di Joe Biden dichiara: “Gli Usa hanno investito 5 miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita”, ma è intercettata da una spia russa mentre è al telefono con Geoffrey Pyatt, ambasciatore Usa in Ucraina. In questa conversazione resa pubblica, i due sanno già che Yanukovich cadrà e discutono su chi dovrà sostituirlo. I due analizzano i candidati e scelgono l’uomo delle banche Arseniy Yatsenyuk che, per pura coincidenza, salirà al governo il mese successivo. Pyatt vorrebbe consultare l’Ue, ma la Nuland replica: “Fuck the Eu!” (l’Ue si fotta!). Venuti a conoscenza del fatto, tramite la conversazione messa in rete dalla spia russa, la Merkel e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy protestano per le “parole assolutamente inaccettabili”.

A seguito di questa svolta verso l’Occidente, la Crimea vuole distaccarsi da Kiev, sentendosi più legata alla Russia che non all’Europa e all’America, e con un referendum non autorizzato si auto nomina repubblica indipendente. Stessa cosa avviene nel DonBass con la nascita delle repubbliche di Donetsk e Lugansk.
Kiev non ci sta e inizia uno scontro che conterà migliaia di morti tra i civili, ma l’Occidente guarda altrove, non s’indigna per le barbarie e le bombe a colpire case, scuole e ospedali. Tace. Contemporaneamente, l’esercito di Kiev è potenziato con il denaro USA e riceve istruttori NATO.
Vladimir Putin sale al Cremlino, mentre l’Ucraina affievolisce la sua pressione sulla Russia e le scaramucce tra le repubbliche indipendenti e Kiev diventano sempre più rare. Donetsk e Lugansk stampano un proprio passaporto e la Russia, per chi lo desidera, offre una doppia cittadinanza.

Il problema delle due anime ucraine sembrerebbe sulla via della risoluzione, ma appare improvvisamente sulla scena politica un attore, Volodymyr Zelensky, che il 31 dicembre del 2018 annuncia la propria candidatura alle presidenziali. Non ha alcuna esperienza politica, ma è l’interprete di una fiction televisiva di successo, “Servitore del Popolo”, dove interpreta il ruolo di Presidente dell’Ucraina. Abile comunicatore in video e sui social, è fortemente finanziato dal magnate ucraino Ihor Kolomoysky, strettamente legato ai Democrats americani. Costui è il vero amministratore della “Burisma Holdings”, attiva nel settore dell'esplorazione, produzione e vendita di gas naturale e petrolio, che vede tra i dirigenti il figlio di Joe Biden.

Il titolo della fiction televisiva diventa il nome del nuovo partito e Zelensky vince con il 73% dei consensi. Il suo programma prevede un ingresso dell’Ucraina in Europa, nella NATO e riprendono i bombardamenti nel DonBass.
Nel dicembre del 2021, il Ministero degli Esteri russo invia a Washington una richiesta per investire l’ONU del problema e affrontare la questione diplomaticamente. La richiesta di Putin non è solo quella di far cessare il bombardamento su Donetsk e Lugansk, ma di riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche come quella della Crimea e rassicurare la Russia sul fatto che l’Ucraina non ospiterà basi americane sul proprio suolo: un missile a testata nucleare con propulsori supersonici potrebbe raggiungere Mosca in 2/3 minuti. Biden risponde che l’Ucraina è uno Stato sovrano che ha tutto il diritto di allearsi con chi vuole e ripristinare il controllo sul proprio territorio.

A questo punto, è bene ricordare il Memorandum di Budapest, firmato il 5 dicembre 1994, con il quale l’Ucraina accettava di smaltire l’enorme scorta di armi nucleari, ereditata dall’Urss, in cambio di una sicurezza territoriale assicurata dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Cina e dalla Francia. La Russia avanza la richiesta che la NATO non si estenda ad Est, ma tale rassicurazione non è siglata in alcun documento.

E veniamo ai fatti contemporanei: manovre militari dell’Armata Rossa, in risposta a quelle della NATO, tentano di fare pressione psicologica sul governo ucraino ma senza successo; i carri armati russi entrano nel DonBass e ha inizio la guerra.
Ora siamo all’ultimo atto, forse, con la Russia trasformata nell’immaginario collettivo nella nuova Germania nazista e Putin nel nuovo Hitler; l’arsenale convenzionale dell’Armata Rossa si è ridotto ai minimi termini come l’economia dell’intero Paese, costretto a diventare autarchico e probabilmente a sbarazzarsi del suo Presidente. Il messaggio, forte e chiaro, è arrivato anche alla Cina, che non ha alcuna intenzione di rinunciare al florido mercato europeo e statunitense per Vladimir Putin.

Il gasdotto russo Nord Stream, che avrebbe potuto risollevarci dalla crisi causata dalla pandemia per il suo prezzo conveniente, non è stato neppure attivato. Ne guadagna l’America, che ce lo porterà in forma liquida con le navi, insieme al petrolio e al grano. Tramite le sanzioni, che colpiscono solo noi in quanto gli Stati Uniti vendono e acquistano ben poco da Mosca, siamo ancora più legati agli USA e il motto di Donald Trump, “Make America Great Again”, si è tradotto in realtà.

Quale potrebbe essere la conclusione di tutto ciò? Lo scrittore americano Mark Twain scrisse che “È molto più facile ingannare la gente, che convincerla che è stata ingannata”.

Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegna

Visiting Professor London Performing Academy of Music di Londra. Docente di Formazione Corale e del master in Musica e Cinema presso Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi Tonelli..   Continua >>



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