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La politica ai tempi dei social

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Sono i social ad essere diventati uno strumento dei politici o i politici ad essere strumento dei social? E il potere decisionale? E' in balia di Like?


La politica ai tempi dei social
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La politica, come la società, è sottoposta a un regime performativo che costringe i suoi attori a una continua interazione nei confronti del proprio pubblico. Il proselitismo che una volta veniva portato avanti dal Partito in quanto organo di propaganda e di strutturazione e mobilitazione dell’elettorato, ora deve essere portato avanti dal politico stesso che, pur di non perdere i consensi di elettori sempre più liquidi, eterogenei e volatili, si vede costretto a rincorrere gli argomenti più popolari che questi ultimi affontano.

Per capire quali sono questi argomenti, i sondaggi devono essere presenti sia nei social che nel mondo reale.

La risposta offerta dall’elettorato alle diverse domande formulate, i trending topics che in un modo o nell’altro si posizionano sui social e specialmente le tematiche esterne alla politica in sé, sono e saranno la base di un discorso politico nel quale il leader non ha più nulla da offrire, ma cerca di inserirsi nelle discussioni che nascono nel seno di una serata al bar, di un pranzo in mensa, degli spogliatoi di una palestra o nel bel mezzo di una grigliata nel weekend.

Questa nuova configurazione dell’opinione pubblica mette in evidenza il capovolgimento degli ambienti che contano per gli attori politici al momento di ottenere, allargare o conservare il consenso. E’ la rivincita degli ambienti dove ogni argomento viene semplificato, ridotto all’osso e all’astrattezza ai danni del mondo accademico, dei circoli intellettuali e della specializzazione.

Nel breve periodo, questo capovolgimento può risultare conveniente e strumentale per il leader carismatico, dato che quest’ultimo può toccare argomenti senza dover dimostrarne la verdicità.

In altre parole, l’esclusione della conoscenza dalla politica conviene fin quando questo nuovo metodo di semplificazione e astrazione del messaggio permetta agli attori politici la conquista del consenso giocando sulla percezione dell’elettorato e senza la necessità di dover affrontare la realtà empirica delle cose. In tutto ciò non c’è nulla da stigmatizzare, né nulla di nuovo. Questo atteggiamento ormai reiterato negli attori politici – anche in quelli “anti-populisti” – rientra tranquillamente nella teoria economica della minimizzazione dei costi e massimizzazione dei profitti, ossia, nella fantasia di guadagnare molto facendo il minimo degli sforzi.

Il dettaglio che potrebbe sconcertarci è il fatto che gli attori politici, per eseguire questo nuovo metodo, devono fare tutt’altro che politica. A dire il vero, essi rinunciano di fatto all’esercizio della politica per darsi all’intrattenimento di massa. Si tratta di un modus operandi che è il risultato di un progressivo declino dell’azione politica che si è vista sostituita dalla simpatia, dal carisma e dalla personalizzazione. Così, oggi il politico, se vuole essere eletto, non deve fare politica, e cioè, non deve cercare di soluzionare i problemi che sorgono in ambito pubblico, ma deve impegnarsi soltanto nell’apparire bello, buono, sincero e affidabile nell’elettorato.

In questo senso, non tutti i politici di oggi sono scontenti, anzi, il non dover affrontare i problemi reali deviando il dibattito dove lo considerano loro, li salva dal dover cercare delle soluzioni che poi di sicuro creeranno altri problemi al momento di accontentare alcuni elettori e far arrabbiare gli altri. Riforme, soluzioni e azioni non sono autosufficienti, non dipendono soltanto dalla loro efficacia ma di come esse vengano comunicate a un elettorato molto complesso.

A tale riguardo, è comprensibile che il politico di oggi non abbia più il desiderio di fare il doppio lavoro, ma di fare quello più semplice: comunicare, anche senza far niente. Nonostante, nel lungo periodo, i problemi cominciano a presentarsi dato che stiamo parlando di una costruzione molto leggera che prima o poi, quando l’effetto passi, rischia di scricchiolarsi sul politico stesso.

In effetti, questa modalità di fare politica risulta logorante per il personaggio carismatico e per chiunque altro l'addotti come strategia, dato che – come l'abbiamo menzionato in precedenza – nonostante la velocità con cui l'esponente politico agisca sui social, il consenso acquistato a forza di post emotivi e di concetti semplificati si rivelerà effimero con il trascorrere del tempo.

Sì, il tempo. Nemico giurato del politico contemporaneo. Al suo scadere, si rivelano aspetti come l'inefficacia di un'amministrazione, l'inadempimento di un programma elettorale oppure l'affaticamento di chi non può correre in eterno, restando al centro dell'attenzione senza essere travolto dalle dinamiche che lui stesso ha ricreato.

E' qui che il gioco dell'intrattenimento diventa controproducente per i nostri politici, i quali dovrebbero cominciare a chiedersi, quanto convenga realmente diventare oggetto d'intrattenimento e distrazione di massa? Non si sta forse sottoponendo la capacità di prendere delle decisioni ai likes, ai retweet e alle condivisioni?

Così, gli attori politici di oggi non si guadagnano più la popolarità attraverso le loro politiche pubbliche, la rincorrono cercando di apparire come onesti, sinceri, diversi e più bravi degli altri, ma dimenticandosi di esserlo. In parole povere, siamo in preda a dei politici che fanno tutto tranne che politica: gridano, insultano, postano su Facebook, Twitter e Instagram e, soprattutto, rinunciano alla libertà delle idee e al potere stesso per soggiacere alla schiavitù della moda.

Estefano Soler


Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 


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