La separazione delle carriere è la madre di tutte le riforme 
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La separazione delle carriere è la madre di tutte le riforme 

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Quando si gioca la partita 'processo penale', infatti, in campo, ci sono due squadre: quella dell’accusa e quella della difesa


La separazione delle carriere è la madre di tutte le riforme 
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«Ineludibile». Questo l’aggettivo usato dal nostro premier a latere dell’incontro tra Governo e giunta dell’Unione delle camere penali italiane nell’ambito del quale si è ragionato di separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. La riforma – ha chiosato Giorgia Meloni nell’occasione – rappresenta un «processo ineludibile». Per ottenere che cosa? Per ottenere – come chiarito dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri – una «vera parità processuale fra accusa e difesa». La questione, apparentemente complessa, è, in realtà, assai semplice. Nel processo penale – perché è di processo penale che si sta qui ragionando – c’è un giudice, c’è un pubblico ministero e c’è un avvocato. Mentre il pubblico ministero rappresenta l’accusa, l’avvocato rappresenta la difesa.

Il giudice, terzo ed imparziale – vale a dire equidistante rispetto all’accusa e alla difesa –, decide solamente dopo aver sentito le due campane. Quando si afferma che, nel processo penale, il giudice decide solo nel contraddittorio delle parti, infatti, si intende dire esattamente questo. Ovvero che, nel processo penale, il giudice decide solamente dopo aver ascoltato la tesi dell’accusa – la requisitoria del pubblico ministero – e l’antitesi della difesa – l’arringa dell’avvocato –. Perché, nel considerare in merito alla separazione delle carriere, il nostro premier ha parlato dunque di «vera parità processuale fra accusa e difesa»? Perché, allo stato attuale della legislazione in materia, una vera parità processuale tra pubblico ministero e avvocato, nel processo penale, non esiste.
E non esiste perché, pur rappresentando l’accusa – pur essendo una parte del processo penale, cioè –, il pubblico ministero è collega del giudice.
Vale a dire collega di chi, per definizione, dovrebbe essere super partes – ovvero al di sopra delle parti processuali –. La questione inerente alla separazione delle carriere, a conti fatti, è tutta qui. E, proprio per questa ragione, come si diceva, è solo apparentemente complessa. Quando si gioca la partita “processo penale”, infatti, in campo, ci sono due squadre: quella dell’accusa e quella della difesa. Perché, così stando le cose, dovrebbe essere corretto il fatto che l’arbitro – cioè il giudice – vesta la stessa maglietta della squadra dell’accusa? Ma, d’altro canto, che la risposta alla domanda che precede sia no, non è corretto, lo sa perfettamente anche la stessa magistratura associata. Che pure finge di non comprendere quanto sopra per mere ragioni di potere, millantando che la separazione delle carriere sarebbe la via per sottoporre il pubblico ministero a controllo governativo. Non è vero. La questione, apparentemente complessa, in realtà, è, ancora una volta, assai semplice. Proprio per evitare ingerenze governative nell’operato del pubblico ministero, l’art. 112 Cost. afferma espressamente che lo stesso «ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». Il principio costituzionale, volendo semplificare, è stato scritto per suonare così: è inutile blandire e/o intimorire il pubblico ministero affinché, nel processo penale A, non eserciti l’azione penale contro Tizio, perché tanto è obbligato ad esercitarla comunque, posto che glielo impone appunto l’art. 112 Cost. La riforma modifica forse il citato art. 112 Cost.? Assolutamente no. E questa è la ragione per la quale affermare che la separazione delle carriere sarebbe la via per sottoporre il pubblico ministero a controllo governativo equivale appunto ad affermare una cosa non vera. La verità – ripeto – è che la magistratura associata non vuole la riforma esclusivamente per ragioni di potere. Perché non c’è davvero nessuna buona ragione per dire no ad una riforma che, per le testé esposte ragioni, è anche epidermicamente 'ovvia'. Finché giudici e pubblici ministeri saranno colleghi, infatti, gli stessi, per questo solo, continueranno ad essere contigui, come contigui sono, per definizione, coloro che sono appunto colleghi di lavoro. Ma contiguo al pubblico ministero, per sua natura, non può essere il giudice. Perché, mentre il pubblico ministero rappresenta una parte processuale, il giudice è il giudice. È colui che, per essere tale – per poter essere tale –, deve essere in primis terzo ed imparziale: come può essere equidistante rispetto all’accusa e alla difesa chi del pubblico ministero – cioè del rappresentante dell’accusa – sia collega? La speranza, anche nell’ottica di imprimere finalmente un vero equilibrio al delicato meccanismo proprio del processo penale, è quella che, qui giunti, la politica sappia davvero resistere alle inaccettabili pressioni della magistratura associata – dove si è mai visto un ordine dello Stato che sciopera contro un potere (quello legislativo) dello (stesso) Stato? –, conducendo finalmente in porto una riforma – quella della separazione delle carriere – che, come è stato correttamente osservato da un grande Maestro della procedura penale, rappresenta la madre di tutte le riforme quando si ragiona di giustizia penale.
Avvocato Guido Sola

Redazione Pressa
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La Pressa è un quotidiano on-line indipendente fondato da Cinzia Franchini, Gianni Galeotti e Giuseppe Leonelli. Propone approfondimenti, inchieste e commenti sulla situazione politica, ..   Continua >>


 
 
 
 

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