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Il Giappone è lontano. Circa 12 ore di volo dalla vecchia e stanca Europa. Negli ultimi anni un crescente numero di turisti italiani l’ha scelto come luogo di vacanza. Tokyo, Kyoto e Osaka, sono le tappe più gettonate. E così ha deciso di fare anche mio fratello Alessandro, quest’estate. Ne è rimasto colpito. L’entusiasmo con cui mi trasmetteva i quotidiani bollettini video e fotografici mi ha talmente coinvolto che mi sembrava di essere là con lui. Ogni giorno, alle diciotto, lo smartphone mi comunicava, con l’ormai familiare “cinguettio”, l’arrivo dei tanto desiderati bollettini.
“Ciò che mi ha colpito maggiormente di quel Paese – mi racconta mio fratello – è la gentilezza delle persone, l’ordine e la pulizia, la maniacale attenzione alle cose, l’organizzazione precisa e puntuale. Un luogo dove siamo stati bene”.
Il Giappone è la terza economia mondiale dopo Stati Uniti e Cina.
Negli ultimi anni il PIL ha ripreso a crescere, dopo “diversi” anni di stagnazione, con una crescita nel 2017 ad un tasso annualizzato del 4% (la più alta dal 2006), un aumento del 9% circa dell’export ed una consistente ripresa dei consumi interni.
Il Giappone ha molte analogie con il nostro Paese. Siamo entrambi afflitti da continui e devastanti eventi sismici; abbiamo il più alto tasso di indebitamento; siamo stati per lunghi anni tra le prime sette potenze del pianeta; godiamo entrambi di una rinomata tradizione culinaria. Si possono citare altre analogie andando indietro nella storia dei due Paesi, ma tralasciamo.
Il Giappone, con un rapporto debito pubblico/PIL del 220% (il peggiore a livello mondiale), è riuscito a sfatare un falso mito: il rapporto debito pubblico/PIL non è l’unico indicatore da tenere in considerazione per valutare la salute economica di un Paese.
Purtroppo la stessa cosa non si può dire per l’Italia. Ma torniamo al Giappone. La cosiddetta “Abenomics”, ovvero la forte politica espansiva voluta dal premier nipponico Shinzo Abe, da tutti considerata una folle corsa verso la recessione, ha avuto ragione. I forti investimenti realizzati nel Paese, hanno finalmente dato i loro frutti: il Giappone è in ripresa.
E qui, purtroppo, si fermano le analogie con l’Italia: la capillare rete di trasporti, le efficaci misure antisismiche, la stabilità politica, il grosso risparmio privato, la stabilità della moneta ed un forte export soprattutto tecnologico, ne fanno un Paese altamente affidabile. Possiamo dire la stessa cosa dell’Italia?
Non a caso il Giappone è meta ideale nelle operazioni di “carry trade” e rifugio ideale dove confluiscono i capitali internazionali in caso di “panic selling”. Insomma il bancomat del pianeta.
Ci sono due semplici parole che riassumono quanto sopra descritto: serietà e affidabilità.
Un piccolo aneddoto conclusivo a proposito dell’affidabilità nipponica. Un amico di mio fratello lascia una propaggine di se stesso (un costosissimo oggetto di cui non possiamo più fare a meno) sul tavolo del frequentatissimo ristorante dove hanno da poco terminato di cenare. Non fa in tempo a rendersi conto della scellerata dimenticanza, che un giovane giapponese lo raggiunge, e con sorrisi ed inchini gli restituisce l’agognato oggetto.
Un fatto straordinario? Per noi certamente sì. Per loro no, è la prassi, ci dicono.
Andrea Lodi