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In questi giorni di sconforto per la morte di Silvio Berlusconi, e d’inaccettabile festeggiamento da parte dei suoi nemici non avversari, l’attenzione è rivolta anche all’escalation militare che contraddistingue la guerra in Ucraina. Dai giubbotti anti proiettile di un anno fa o poco più, siamo passati al dispiegamento di missili con testata nucleare in Bielorussia al confine con la Polonia e alla più grande esercitazione aerea NATO in Germania. Nessuno dei due reali contendenti, gli USA e la Russia, vuole perdere la faccia e, di conseguenza, si va avanti fino a toccare il punto di non ritorno. La speranza di tutti è che non lo si debba superare o sarà Guerra Atomica.
A noi, denominati «Occidente», si continua a ripetere che il finanziamento e l’armamento dell’Ucraina è una scelta obbligatoria di libertà e democrazia e che Kiev deve vincere.
Fino a qualche mese fa, la filastrocca ripetuta a memoria da tutti i media generalisti e dai leader politici europei era che l’Ucraina doveva difendersi, ma ora gli obiettivi di Washington sono cambiati e a noi tocca obbedire. La Russia non è in crisi economico/militare e non è neppure isolata. Anzi.
A questa ragione, alcuni contrappongono quella che da sempre genera i conflitti: l’economia.
È indubbio che il presidente Putin esercitava sull’Europa un fascino sempre più consistente, con rapporti commerciali in grande aumento specialmente sul piano energetico e che la Cina stava raggiungendo rapidamente il vertice dell’economia mondiale. Gli Stati Uniti si sono trovati per la prima volta a muoversi in un contesto geopolitico non più monopolare e a dover rincorrere gli avversari. Il sodalizio Mosca/Pechino non doveva assolutamente nascere, poiché non avrebbe potuto essere affrontato e sconfitto e allora, secondo una parte degli analisti, il Pentagono ha elaborato la strategia messa in atto contro la Russia.
Questa strategia, iniziata nel 2014 tramite la compiacenza del governo di Kiev creato a tavolino e finanziato, avrebbe dovuto ridimensionare Mosca e servire da monito per la Cina.
Se ciò fosse vero, i risultati sono alquanto dubbiosi: Putin e Xi Jinping sono più vicini che mai, le sanzioni non hanno sortito gli effetti sperati, l’isolamento di Mosca non è avvenuto; anzi: questo suo fronteggiare sostanzialmente da sola il “Mondo”, ha infuso coraggio in tutti coloro che da decenni subiscono l’arroganza occidentale, il “furto” delle ricchezze per una collanina di vetro.
L’economia americana arretra, è in crisi e presto anche l’Europa dovrà fare conti peg-giori di quelli attuali per le scelte compiute.
Tutto nasce dal BRICS, da questa alleanza economica parallela che nel prossimo agosto dovrebbe proporre la sua nuova valuta di riferimento a sostituire il Dollaro come divisa principale per i pagamenti internazionali. Ciò potrebbe influenzare in modo drammatico e imprevisto il commercio mondiale, gli investimenti esteri diretti e i portafogli degli investitori.
Il BRICS sta affascinando sempre più Stati dal gruppo iniziale costituito da Russia, Cina, India, Brasile e South Africa. Altre 8 nazioni hanno formalmente presentato domanda di adesione e altre 17 si apprestano a farlo. Gli 8 Stati sono: Algeria, Argentina, Bahrein, Egitto, Indonesia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. I 17 interessati al BRICS sono: Afghanistan, Bangladesh, Bielorussia, Kazakistan, Messico, Nicaragua, Nigeria, Pakistan, Senegal, Sudan, Siria, Tailandia, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela e Zimbabue.
Arabia Saudita e Russia sono due dei maggiori produttori d’energia mondiale - il terzo sono gli Stati Uniti - e senza energia la produzione industriale si ferma, è costretta a pagarla il prezzo stabilito da chi la possiede e tale prezzo condiziona il costo. Non si può fare concorrenza a chi offre sostanzialmente lo stesso prodotto a un quarto del prezzo e questo è il futuro che si prospetta. Per l’Europa, che non ha idrocarburi, sarà ancora peggio.
Ma non esiste solo il petrolio o il metano: Russia, Cina, Brasile e India rappresentano il 30% della superficie emersa mondiale con le relative risorse naturali. Quasi il 50% della produzione globale di grano e riso appartiene al BRICS, come il 15 % delle ri-serve auree. Anche a livello di popolazione, i soli Stati fondatori del BRICS annoverano più di 3 miliardi di persone e cioè il 40 % della popolazione terrestre.
Se a Cina, Russia, Brasile e India aggiungiamo la sola Arabia Saudita, il PIL complessivo corrisponde a 29 trilioni di dollari, che corrispondono al28 % del PIL globale.
Anche a livello militare l’Occidente è nettamente inferiore: Russia e Cina hanno insieme il più grande arsenale nucleare del mondo, di gran lunga superiore a quello americano. Se confrontiamo poi il numero di mezzi e soldati, aggiungendo anche l’Europa, continuiamo ad essere in inferiorità.
Il BRICS si propone quindi come il nuovo punto di riferimento molto diverso da quello che ha dominato fino a ieri il mondo, con l’America al vertice, in secondo piano gli alleati e il resto considerato territorio di caccia.
La comunicazione, poi, è tutto ed è volontà del BRICS creare presto una rete sottomarina di collegamento che escluda l’ingerenza americana via satellitare anche per ragioni di controspionaggio: ricordiamo tutti la denuncia di Assange con il controllo statunitense di messaggi e telefonate anche degli alleati. Questo sistema si chiamerà BRICS CABLE.
Da queste informazioni iniziali è chiaro l’affacciarsi di un nuovo mondo, che scompaginerà quello precedente con tutti i suoi privilegi riservati a pochi ed è altrettanto chiaro che una nostra ipotesi di sconfitta non è affatto peregrina.
Ecco perché la Russia deve perdere militarmente ed economicamente e ciò deve avvenire prima delle nuove elezioni presidenziali del 2024.
Se Mosca riuscirà a trascinare il conflitto a bassa intensità fino all’insediamento del nuovo inquilino alla Casa Bianca, si dovrà ridiscutere l’appoggio all’Ucraina, trattare, obbligarla a trattare, accettare il nuovo e diverso mercato globale o dovremo cambiare radicalmente il nostro stile di vita e prendere coscienza che non siamo più il «mondo».
Massimo Carpegna