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Uno dei grandi temi trascurati a Modena sulle infrastrutture è il “marciapiede” che di converso per la mobilità urbana ne è l’infrastruttura regina. Sia per la pedonalità in sé ovviamente che per il trasporto pubblico in particolare e quindi dell’intera mobilità. Infatti, un buon marciapiede è l’infrastruttura per eccellenza che porta alla fermata dell’autobus ovvero marciapiede come “feeder”, che alimenta il trasporto pubblico di qualità.
Ed è all’interno di una visione urbanistica viva e nuova che si colloca la questione della pedonalità. La modalità di trasporto per eccellenza, la regina della socialità, dell’efficienza e dell’efficacia dei movimenti urbani e di quartiere. Pedonalità che in tutto il mondo occidentale si tenta di recuperare poiché la walkability è la prima delle modalità di trasporto in assoluto a cui dovrebbe riferirsi sia un Piano Regolatore che un Piano della Mobilità, nella convinzione che un buon piano urbanistico, rappresenta già di per sé un buon piano di trasporto e di mobilità sostenibile e viceversa.
Nella realtà, purtroppo questo rapporto rappresenta una pagina nera di quello che non è stato fatto negli ultimi trenta anni salvo rarissime eccezioni. Non va scordato infatti che tutti prima che automobilisti, ciclisti, motociclisti siamo pedoni di cui molti anche con difficoltà motorie e disabilità al quali non si può inibire il piacere di una vita o possibilità di movimento in aree urbane. Eppure, oltre il 70 % dei marciapiedi della nostra città è negletto ed ostile al pedone. Sia esso giovane che anziano, in salute o con problemi motori.
Marciapiedi sottodimensionati, volutamente micragnosi per non scontentare gli automobilisti e incrementare lo spazio dedicato alle sedi stradali, molte volte costruiti male per minimizzare i costi di costruzione, altre per obbedire a standard assurdi valevoli sia per strade commerciali che per strade residenziali o solo di transito o in aree artigianali ed industriali.
Marciapiedi infine che paiono fatti apposta per scoraggiarne l’uso: quasi che l’obiettivo politico di fondo fosse quello di limitare il godimento dello spazio pubblico e della pedonalità (e delle ciclabilità) a favore dell’auto ed il trasporto privato. E poi una lasca gestione della manutenzione e adeguamento dei marciapiedi esistenti, affidata fondamentalmente al buon cuore dei cittadini e non ad una pianificazione tesa a promuovere e a programmare gli interventi sulla pedonalità è purtroppo il segno distintivo di tutte le amministrazioni che si sono succedute negli ultimi 20 anni.
Standard tecnici ed urbanistici pensati oltre trenta o quarant’anni orsono, ancora vigenti che sia il PUMS ( Piano urbano della mobilità sostenibile) che il PUG ( Piano Urbanistico Generale) appena presentati solo marginalmente se ne occupano, quando invece dovrebbero essere la priorità dell’azione pubblica per la mobilità sostenibile.
In effetti le indicazioni sin qui fornite dai regolamenti edilizi ed urbanistici sono ancora troppo evanescenti circa la necessità di individuare azioni finalizzate ad un nuovo urbanismo in cui le relazioni interpersonali all’interno di quartieri siano fortemente dirette alla promozione della mobilità lenta, dolce e di prossimità. Ciò al fine di dare priorità alle relazioni che legano gli insediamenti residenziali, i servizi primari e quotidiani, la crescita ed il consolidamento qualitativo della città compatta. In questo senso allora è il marciapiede l’elemento infrastrutturale primario ed attualissimo che ci può aiutare verso una nuova qualità urbana a partire dalla governance. La competenza degli interventi sui marciapiedi è quasi sempre esclusiva dei frontisti proprietari ed è regolata dal Regolamento di Polizia Urbana che si limita a sancire gli obblighi di intervento in caso di necessità. In tale contesto i marciapiedi di competenza delle Amministrazioni Comunali sono di fatto quelli realizzati dopo l’entrata in vigore della Legge 10/1977.
Purtroppo, gli interventi eseguiti nella città costruita in tutti questi ultimi 30 anni si sono limitati a riasfaltare la sezione riservata ai veicoli ma quasi mai ci sono stati programmi di interventi sistematici di manutenzione soprattutto nelle prime e seconde periferie. In assenza di iniziative di pianificazione di attività specifiche sulla pedonalità, gli unici strumenti legislativi che al momento disciplinano l’iniziativa privata sono quindi i Regolamenti di Polizia Urbana di impianto novecentesco tuttora vigenti a volte supportati da uno stringato articolo del Regolamento Urbanistico Edilizio dove vengono indicate solo le dimensioni che devono avere i marciapiedi di nuova costruzione e poco altro. Nessuno indirizzo volto a qualificare la progettazione degli interventi in modo da garantire dimensioni in relazioni alla specificità dell’insediamento residenziale, nulla o poco si dice sulla continuità di percorso, sulla regolarità altimetrica, sui materiali o tecniche adeguate di costruzione; e non solo per garantire gli standard per eliminare le barriere architettoniche ma anche per realizzare degli spazi gradevoli dal punto di vista del paesaggio urbano.
L’assenza quindi di nutrite e ricche linee guida per la costruzione, manutenzione, agibilità, livello qualitativo dei marciapiedi ed indice di rugosità almeno paragonabili a quelli in uso per le strade è il dato comune della scarsa o nulla sensibilità di tutte le amministrazioni passate e presenti.
Da qui la sottovalutazione della pedonalità il pessimo stato di manutenzione, l’effettivo decoro e la scarsa agibilità dei marciapiedi. Di fatto tranne rare eccezioni gli interventi vengono il più delle volte effettuati per cadute gravi, su chiamate di infortunati, su richiesta di invalidi residenti nell’area e di qualche persona attenta e di buon senso civico.
In altre parole si è preferito spendere tantissimo sulla fluidità del traffico veicolare ( le rotonde) che sulla fluidità e sicurezza dei pedoni con un equilibrio sempre a favore dell’auto, mai del pedone, della bici e del trasporto pubblico di qualità.
Lo sconforto peggiora nel vedere poi consentito l’uso di tutti i materiali lapidei; cosicché i marciapiedi nella città appaiono come un campionario, un catalogo minerario e lapideo dell’universo geologico: dal laterizio, sino al peggiore degli asfalti. Eccezione fatta per qualche tratto del centro storico, nessun disegno, nessuna qualità architettonica, nessun virtuosismo né di relazione fra edificio e strada. La nostra città purtroppa vanta da oramai troppo tempo brutti marciapiedi, da periferie di quart’ordine anche in zone di buon livello architettonico e edilizio e perfino nel centro storico.
Va da sé che nonostante una legge sul superamento delle barriere architettoniche (PEBA), la stragrande maggioranza dei marciapiedi è ostico ai disabili anche in carrozzina: dislivelli tra quota stradale e marciapiede diventano così muri invalicabili a cui si sommano materiali inadeguati delle più strane tipologie, dal porfido ai cubetti alle lastre di arenaria, giusto per sollecitare vibrazioni insopportabili. E quindi marciapiedi ingombri di cartelli stradali, alberi, cespugli, cestini per la spazzatura e poi pali elettrici e semaforici ovviamente giusto nel mezzo ed ultimatamente anche dalle nuove centraline telefoniche e della fibra ottica buttate lì senza alcuna cura e progetto. E quindi buche, pozzanghere, lastre di porfido e cordoli spesso divelti in più parti, in ogni quartiere, dai più nuovi a quelli storici, da quelli di prima fascia di espansione ai più recenti PEEP: il resto è di una qualità innegabilmente penosa. Solo la larghezza cambia, ma mai quanto sarebbe necessario almeno per passeggiare e camminare comodamente almeno in due.
Ecco perché la questione “marciapiede” dovrebbe far parte a pieno titolo della mobilità locale ma anche regionale. Ogni municipalità dovrebbe avere un completo ed accurato inventario dei marciapiedi in tutti i quartieri, al fine di stabilire insieme ai cittadini ed alle associazioni di tutela dei disabili programmi prioritari di rigenerazione, di manutenzione ordinaria e dove occorra anche di completa ricostruzione con i necessari ampliamenti. Sappiamo bene che i marciapiedi assommano a diverse centinaia di chilometri, va da se però che il tema avrebbe dovuto essere affrontato già da tempo e posto fra le priorità perché è l’indice, la cartina tornasole dell’intenzione di una amministrazione che crede nella rigenerazione urbanistica e quindi nella qualità degli spazi comuni e che invece non trova spazio neanche nella campagna elettorale tanto che se la facesse ora sarebbe davvero fuori tempo massimo. In effetti affrontare il tema non richiede mesi, ma anni, forse anche due intere legislature non sarebbero sufficienti per dotare una popolazione ultra 65enne che si appresta a diventare maggioranza, quel minimo di agibilità alla città attraverso la riconsegna di spazi pubblici di qualità e percorsi sicuri verso i negozi di vicinato, i servizi essenziali. Di fatto ci vorrebbe un programma di ricostruzione che preveda ampliamenti dei pedonali e delle ciclabili e laddove necessario contestuale anche al parziale e/o totale rifacimento delle reti sotterranee (in primis le condotte di acqua in asbesto). Il rifacimento dei marciapiedi è potenzialmente una delle poche leve che ha in mano una amministrazione attenta, concreta e consapevole per incentivare la rigenerazione, il recupero edilizio, la riqualificazione ed anche promuovere la densificazione urbanistica di parti della città costruita che la nuova legge urbanistica vorrebbe incentivare.
Non sono moltissime le ricerche e gli studi relativi al rapporto tra riqualificazione degli spazi pedonali e ciclabili e commercio, ma tutti quelli esistenti soprattutto eseguiti in Inghilterra, Olanda, Stati Uniti, ed altri ancora dimostrano un aumento medio della spesa commerciale consistente là dove la riqualificazione è stata portata a termine.
Si stima infatti che un pedone spenda in media a settimana il 40% in più dell’automobilista contro il 30% di un ciclista. Di fatto un automobilista è quello che spende meno, oberato dalla ricerca del parcheggio, dal disco orario che scade, dalla sensazione del poco tempo a disposizione che lo contraddistingue per via dell’ansia dello scadere del tempo del disco orario e della multa potenziale.
Altri studi dimostrano che a seguito di rinnovo dei marciapiedi in ambiti urbani anche degradati, il valore medio degli affitti dei negozi sale nell’arco di un paio di anni del 17% ( Hong Kong), così come il valore della proprietà da uno 0,5% ad 1% (Inghilterra) il che conferma che una riqualificazione ed ampliamento dei marciapiedi, oltre ad aumentare e qualificare la pedonalità aumenta la voglia e l’esigenza di passeggiare, induce quella necessaria serenità a compiere quel minimo di esercizio fisico necessario per contrastare l’indolenza urbana soprattutto dei meno giovani, degli anziani ed anche delle neo mamme con neonato in carrozzina. E questo crea anche maggiore valore per il commercio locale, la rendita e la valorizzazione immobiliare. Attraendo così nuovi investitori, clienti e turisti anche da altri quartieri della stessa città e di altri centri limitrofi. Perché passeggiare è bello, salutare soprattutto poi se ci sono comode panchine ogni 300 o 400 metri e non solo parcheggi.
Crediamo quindi che all’interno del PUMS dal punto di vista della mobilità così come all’interno di interventi e sostegno alla rigenerazione urbana una seria riflessione su nuove modalità di gestione e governance degli spazi pubblici e para- pubblici non possano più essere affidati alla mera iniziativa dei proprietari dei marciapiedi, perché questi sono infrastrutture di base della mobilità né più né meno di una strada. E sarebbe anche ora che la Regione all’interno del PRIT (Piano Regionale Integrato dei Trasporti) preveda ed adeguati criteri e consistenti contributi finanziari che affrontino con decisione ed innovazione la riqualificazione delle infrastrutture di base così come i marciapiedi possono e devono essere considerati. Marciapiedi di qualità, ben disegnati con motivi e materiali visivamente piacevoli in grado di valorizzare lo spazio pubblico che per definizione deve essere bello, sicuro, piacevole al tocco della scarpa, con e senza tacco con la suola di gomma, di cuoio e di par di tela e di sughero, né più né meno di come le strade sono state adeguate nel tempo ai pneumatici ed alle automobili che l’uomo senz’altro non è da meno.
Lorenzo Carapellese - urbanista