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Modena, il carcere non è vendetta: l'orrore del Sant'Anna
La Pressa
Una situazione straordinaria diventata però tristemente ordinaria, costellata da rivolte, suicidi, insofferenze, stati patologici non curati
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È il terzo in pochi giorni che toglie il disturbo nel carcere di Modena. Non un ragazzo questa volta, ma un uomo con la sua disperazione e la sua responsabilità. È tempo di guardare quello che succede in quel mondo, anche negli angoli bui, non illuminati da rapporti umani ragionevoli. È tempo ora. Poco prima di Natale noi volontari abbiamo percorso i corridoi del carcere di Sant'Anna e ci siamo affacciati in ogni cella per dare una fetta di panettone, qualche cioccolatino e il nostro augurio di Buon Natale ad ogni persona detenuta.
Erano per lo più sdraiati sulle brande, in silenzio, spesso al buio. Qualche volta avevano richieste da fare a cui noi volontari non potevamo dare risposte. Più spesso mostravano la meraviglia che anche lì potesse arrivare un saluto, un dolce. È un mondo che noi conosciamo, ma dopo una settimana, alla fine del percorso, l’angoscia ha attaccato anche noi. In una cella buia abbiamo chiesto ai ragazzi che l’abitavano perché rimanevano al buio. Uno di loro ha risposto con ironia: “Se accendiamo la luce si vede di più il brutto che abbiamo attorno”.
E siamo qui adesso a chiederci cosa fare, come rispondere alla disperazione di quel luogo. È Modena anche quella, come il mercato, le banche, il Duomo, il comune, le piazze. Ha un suo ruolo, un compito da svolgere ed è un compito importante. Quello della vendetta? Ma basta la vendetta? Basta il castigo che dovrebbe diventare insegnamento attraverso l’afflizione e il dolore?
Non si vede come in questo modo, con questa logica, il carcere diventa sempre più un istituto che genera violenza, sia criminogeno e non riesca a proteggere né le persone detenute, né le persone in divisa, né quindi, in ultima analisi, la società. È a questa pena che affidiamo la nostra sicurezza?
Davanti ad una situazione straordinaria diventata però tristemente ordinaria, costellata da rivolte, suicidi, insofferenze, stati patologici non curati, non appare possibile voltare gli occhi da un’altra parte. Occorre una riforma organica, completa, che sappia toccare ogni ingranaggio difettoso, ogni polmone in apnea dell’intero circuito penitenziario. Non si può più aspettare. Non si può con questi numeri di presenze.
Dobbiamo crederlo, chiederlo, pretenderlo noi, cittadini e voi politici. E non è un discorso di clemenza, umanità o buonismo, non è eppure una resa, ma di coraggio per la nostra sicurezza, per la nostra comunità, perché possa essere capace di seminare segni di speranza per tutti, oltre il pessimismo, la rassegnazione, la stanchezza che spesso incontriamo anche in noi stessi.
Il volontariato ha sempre sostenuto l’idea del carcere come “extrema ratio”, per chi non può essere fermato in altro modo e si è espresso a favore di una giustizia di Comunità con pene conciliative o riconciliative che possano coinvolgere anche la vittima del reato. Pene che facciano leva sulla capacità delle persone di fare scelte diverse da quelle che le hanno portate a delinquere.
Se non ora, quando?
Gruppo carcere-città odv
CSI volontariamo
Mani Tese Finale Emilia
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